Quer pasticciaccio brutto de… viale Mazzini
Finalmente i giochi sono fatti. La Rai ha il suo nuovo Cda. Ma lo spettacolo mandato in onda dai partiti e, ahimè, da rappresentanti altolocati delle istituzioni, non è dei più confortanti. Stiamo parlando di un’azienda pubblica sì eminente, ma non al punto da far scatenare vere e proprie guerre guerreggiate che arrivano al colmo di coinvolgere i presidenti del Senato e della Camera. Il primo, il presidente Schifani, per aver sostituito un consigliere della Commissione di vigilanza che stava votando le nomine Rai. Il secondo, il presidente Fini, per aver gridato allo scandalo per la rimozione fatta da Schifani. Diciamo che ad entrambi è venuta meno la “prudenza”, una delle quattro virtù cardinali che non può mancare in uomini che sono alla guida delle istituzioni democratiche del nostro Paese. Il presidente del Senato sostiene che ha fatto il suo dovere di garante sostituendo il consigliere Paolo Amato (Pdl) con Pasquale Viespoli (Coesione nazionale) perché erano cambiati da tempo i rapporti di forza tra i partiti in seno alla Commissione di vigilanza e, quindi, bisognava riequilibrare. Il presidente della Camera diventa leader di partito e spara ad alzo zero verso il suo collega reo della sostituzione fatta in corso d’opera. Sarà stato pure come sostiene Schifani, ma perché non procedere al rimpiazzo prima delle votazioni? Eppoi, è solo un altro caso che il consigliere Amato abbia annunciato di votare in modo difforme dai desiderata del suo Pdl? E sarà stata un’altra combinazione fortuita che prima della sostituzione di Amato il capogruppo del Pdl al Senato, Gasparri, abbia prima segnalato le dimissioni dello stesso Amato dalla Commissione di vigilanza eppoi la sua cacciata dal Pdl?
Bisogna ammettere che le coincidenze sono troppe per non pensare a qualcosa di architettato per evitare equilibri diversi da quelli ipotizzati a tavolino nel Cda Rai. E, ancora una volta, tutto gira intorno al duopolio Rai Mediaset. Ma così avanti non si può andare. La governance della Rai va cambiata al più presto con meccanismi che evitino l’imbarazzante balletto a cui siamo stati costretti ad assistere. Ma soprattutto va rotto, una volta e per sempre, l’attuale duopolio dell’emittenza televisiva. C’è bisogno di un pluralismo non di facciata e di una concorrenza che non può essere addomesticata con giochetti di potere che mortificano la democrazia e penalizzano chi vuole innovare un mondo, quello radiotelevisivo, che è destinato a subire cambiamenti epocali nei prossimi anni.
La Rai non ha nulla da temere se punta sulla qualità del prodotto, sulla qualificazione e riqualificazione del suo personale, sull’innovazione tecnologica in un’ottica di servizio pubblico che non può e non deve correre dietro lo share degli ascolti. Le perplessità ci assalgono quando scorriamo la lista dei nuovi consiglieri di amministrazione. Ci sono belle figure, a partire dalla presidente, con curriculum eccellenti probabilmente più adatti ad altri incarichi di prestigio che non a guidare un’azienda radiotelevisiva. E ci assale un altro dubbio. Hanno fatto sicuramente bene quei partiti, a cominciare dal Pd – ma anche il Governo -, che hanno voluto aprire le porte del Cda Rai a eminenti figure della società civile. Ma non si poteva fare lo stesso “pescando” soggetti che hanno speso la propria vita per la televisione? Professionisti indipendenti che in fatto di professionalità, e non affetti da videite – “voglia insaziabile di apparire sul video con la cadenza puntuale ed ossessiva con cui il drogato si buca” (Gianni Pasquarelli ex direttore RAI) – , non sono secondi a nessuno. Il rischio è che la burocrazia governi. Difronte a problemi di concorrenza, di produzione e programmazione, di tecnologie avanzate, se non hai un minimo di esperienza vissuta nel settore il governo dell’azienda può passare fittiziamente e surrettiziamente ai tecnici.
La Cisl, nel convegno organizzato pochi giorni fa sulla Rai, ha ipotizzato la fiscalizzazione del canone al fine di poter finanziare adeguatamente il servizio pubblico. Ben venga a condizione che si cambi l’attuale legge Gasparri, sganciando l’emittenza pubblica dal controllo dei partiti, senza però privatizzare. E basta anche con l’informazione lottizzata. Che ha radici lontane, in verità. Un grande giornalista come Antonio Ghirelli, che nel 1986 aveva preso il posto di Ugo Zatterin al Tg2, nel ricordare la sua esperienza di direttore disse: “Al Tg2 sì che mi sono divertito, sono riuscito a farlo molto più craxiano dell’Avanti”, giornale di cui diventerà direttore quando lasciò il Tg2. I tempi cambiano, purtroppo alla Rai certe storie si ripetono. E non può continuare così.
Elia Fiorillo