L’OPPORTUNISMO DA CAMPAGNA ELETTORALE CHE NON SERVE AL PAESE
Elezioni in autunno? Tutto è possibile, ma non tutto in politica si può fare. Ci sono dei momenti topici dove i calcoli opportunistici vanno messi da parte e fatto prevalere il buon senso, nell’interesse comune. E’ il professor Monti cheaccenna stavolta al ritorno alle urne. Lo fa, forse, sotto l’effetto scoramento per lo spread che sale, pur sapendo che con i tempi che corrono una campagna elettorale non sarebbe proprio il toccasana per il nostro Paese. E allora? Se bisogna continuare a sparare sul manovratore – sembra voglia dire – i partiti che lo sostengono si assumano le proprie responsabilità. La smettano di appoggiare il governo con mal di pancia sempre più forti, esternati ai quattro venti. Vabbene Di Pietro e Maroni, ma non è possibile che gli altri, un giorno si e l’altro pure, da una parte esprimano consenso con il voto, e dell’altra manifestino il loro disgusto per quello che hanno appena fatto. In psichiatria si chiama “schizofrenia”. In politica, “opportunismo da campagna elettorale”. L’inquilino di Palazzo Chigi dopo l’ipotesi dell’apertura delle urne a breve, smentisce il tutto. Una cosa è certa, tranne casi isolati, nella strana maggioranza che appoggia Monti tutti si sono affrettati a gettar acqua sul fuoco. Le motivazioni sono le più diverse, dalla necessità di riformare il Porcellum, al momento difficile che sconsiglia il passo elettorale. Ma, probabilmente, la verità è un’altra. Anche la seconda Repubblica è finita, ma l’approdo futuro non si vede. Una volta c’era la DC ed il PCI. Poi venne il PDL ed il PD. Aggregazioni politiche discutibili quanto si vuole, ma con le loro filosofie di governo; con i loro sogni nel cassetto – leggi riforme costituzionali -; con la loro idea di bene e di male in politica. Dietro queste forze c’erano donne e uomini che si riconoscevano in ideali, in parole d’ordine aggreganti. Ed i partiti erano proposta e sintesi dei sentimenti comuni. La rottura del giocattolo, secondo me, è avvenuta quando i movimenti politici, con i cambi epocali della società che avvengono ormai ogni dieci anni o giù di lì, sono rimasti centrati su se stessi. Attenti a conservare il potere che stava andando via. Incapaci di scordarsi il passato per capire cosa stesse avvenendo. Eppoi è venuto lo spread. Che può diventare il vero ed unico possibile riformatore della politica italiana ed europea e, soprattutto, dei partiti. Lo spartiacque tra ieri ed oggi. Un bene assoluto o un male definitivo. Tutto sta come lo si affronta. Dietro lo spread c’è l’interesse economico degli speculatori, che fanno il loro mestiere, ma anche la pochezza di una classe politica, non solo italiana in verità, che dovrebbe fronteggiarlo. Uscire dal circolo vizioso della sommatoria senza fine dei piccoli e grandi interessi non è cosa semplice. C’é chi in buona fede ci sta provando. Bisogna osare di più però. Non aver paura di perdere consenso se si portano avanti politiche razionalizzanti che costano in tutti i sensi. Nessun cittadino però deve avere il dubbio che alcune “caste” stiano prevaricando sulla collettività. Così non si va da nessuna parte. Ezio Tarantelli, l’economista ucciso dalle Brigate rosse, ha sempre sostenuto che il cittadino comune riesce a capire, comprendere ed assecondare, anche i percorsi economici più complessi e gravosi che lo toccano sul piano economico, se dietro vede con chiarezza l’obiettivo giusto che si vuol perseguire. “Lo statista è colui che non pensa alle prossime elezioni, ma alle prossime generazioni”. La frase di De Gasperi, citata dal presidente del Consiglio, è quanto mai significativa. E’ anche il sassolino che Monti si leva dalla scarpa per il continuo “fuoco amico” che subisce ogni giorno. Probabilmente fa bene a farlo, ma lo statista è anche colui che riesce con la condivisione delle proprie idee e strategie, al di là di dictate imperativi ed unilaterali da professore in cattedra, certo senza perdite di tempo, a costruire il percorso vincente. La “concertazione” per il maestro d’orchestra è l’arma più forte per fare bene. Anche, credo, per un Primo ministro in tempi di “spread”.
di Elia Fiorillo