PVC: UNA BELVA CANCEROGENA POCO CONOSCIUTA
Come tutte le tecnologie, in questo specifico caso le “tecnologie dei materiali compositi”, talvolta il progresso è regresso, anzi rettifico, cancro. Stiamo parlando del PVC (polivinilcloruro), un polimero plastico costituito da una catena di molteplici unità di cloruro di vinile monomero, createsi dall’unione dell’etilene (che si estrae dal petrolio) con il cloro (ottenuto rompendo le molecole di cloruro di sodio presente nel sale marino). Casette da giardino, sedie, mobili, tubature, tapparelle, grondaie, pavimenti,carte da parati, finestre, verande, gazebi, interni delle vetture, pellicole alimentari, contenitori, bottiglie, giocattoli, cartelle, gomme per cancellare, rivestimenti domestici e non di ogni genere, vengono creati con il suddetto composto, ne siamo quasi totalmente circondati; ed ecco che ci troviamo ad avere inconsapevolmente, spesso e volentieri, un mostro in casa .
Vi è il bisogno inevitabile nel menzionare, a tal punto, i due aggettivi che al meglio si prestano a descrivere il materiale in questione: “polivalente” e consequenzialmente “poli-inquinante”. Il primo è già stato accennato: molti oggetti domestici, a partire proprio dalle fondamenta della casa, lo integrano fin troppo; il secondo aggettivo merita, senza alcun dubbio, tanti approfondimenti quanto riflessioni, in materia “ambiente” e “danni alla salute”. Da un punto di vista ambientale il PVC, in quanto cancerogeno, risulta estremamente dannoso per la salute umana; secondo dati ufficiali, si stima che circa il 91% del rilascio ambientale del materiale avvenga attraverso le emissioni in atmosfera, mentre il 7% verrebbe immesso nelle acque di scarico (ove Il procedimento che scinde il sale marino si avvale ancora di tecnologie tradizionali) favorendo così il rilascio di rilevanti concentrazioni di mercurio, diossine, furani ed altri composti altamente tossici – anche in minime concentrazioni – tendenti a giacere nella materia organica astante nell’acqua. A tal punto, per loro (e nostra successiva) disgrazia, entrano in scena gli animali acquatici filtratori (cozze, vongole) e quelli che si nutrono di detriti dei fondali, ormai colmi di residui cancerogeni; ascendiamo dunque lungo la catena alimentare dei mammiferi, fino ad arrivare sulle nostre tavole; la chiusura di questa oscena catena si conclude nel nostro organismo. Inoltre il PVC, instabile al calore e alla luce, necessita che si aggiungano altri composti chimici che servono a conferirgli le caratteristiche commerciali necessarie per il suo uso. A tal fine vengono utilizzati metalli pesanti quali cadmio e piombo, evidenti e ben conosciuti per la loro cancerogenesi. L’iter è chiaro, orribilmente crudele, ma nessuno ne parla. La gravità di tutto ciò va però a compenetrare un’altra sfera, che più di tutte lascia sconcertati: quella sanitaria. I composti più utilizzati sono i plasticizzanti da cui discendono il “mono ethyl hesyl-ftalato” (MEHP) risultato positivo a diversi test di mutagenesi.
Per quanto riguarda il “butilbenzil ftalato” (BBP), è stata accertata la sua capacità di indurre leucemia mononucleare in caso di lunga esposizione a concentrazioni medio-alte. Il cloruro di vinile (CVM) è certo invece che abbia prevalente azione sul fegato, dove vi si accerta lo sviluppo di un raro tumore: l’angiosarcoma epatico. L’esposizione al composto è stata correlata anche a tumori al cervello e alterazioni anomale del sistema riproduttivo ed immunitario con la comparsa di malattie autoimmuni quali la sclerosi multipla e l’artrite reumatoide. A prova tangibile ricordiamo che dopo il disastro petrolchimico di Porto Marghera (2001), la maggior parte degli operai presentava prevalentemente patologie tumorali. Il crimine continua silenziosamente ad oggi.
Nel 1982, l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (AIRC) ha classificato il DEHP, il MEHP e i derivati come cancerogeni per l’uomo; sarà dunque illegale vendere prodotti polivinilici al pubblico, c’è da chiedersi? E anzitutto, effettueranno regolarmente tutti i test ambientali/epidemiologici necessari prima di offrirli sul mercato? Lo chiariranno gli esami chimici.
Di Alessia Viviano