“Da questa parte (ovvero quello che manca) ” . La Donna “in tre” di Emanuele Tirelli.
Una semplice impalcatura , resa invisibile dal mezzo scenico attraverso il quale viene proiettato il video curato da Alessandro Tresa , fa da sostegno alle cornici, tre cornici. Siamo al Teatro Sancarluccio di Napoli , quest’anno “quarantenne”, ma da sempre propositivo, per l’atto unico “Da questa parte (ovvero quello che manca)” del drammaturgo Emanuele Tirelli, prodotto da Tavole Da Palcoscenico, Eva Di Tullio e Blumalab , per la regia di Iolanda Salvato. La scenografia di Errico Quagliozzi, si basa essenzialmente su tre cornici come tre finestre, dalle quali e in prossimità delle quali, l’attrice Assia Favillo, a cui l’intera rappresentazione è affidata, si presenta al pubblico in tre movimenti differenti. Interpreta tre donne, storie diverse, ma intrecciate; personalità distinte, ma intimamente comuni. Valeria, moglie di Roberto, è in palcoscenico per nascondersi. Il marito ha voluto che portasse Luciano (loro figlio) dai nonni , e che lei restasse per un po’ in disparte : il tempo necessario per prendere una decisione. Una vita matrimoniale, familiare, che Valeria ostinatamente e inutilmente difende dai tradimenti “bruciaticci” del coniuge, mettendo a poco a poco a nudo , la fragilità e la forza di una donna, che ha sacrificato la propria indipendenza , per costruire un nucleo familiare con lui, il suo Romeo. Giunta dalla provincia su quella che il personaggio definisce “giostra cittadina”, intraprende la sua vita universitaria e sentimentale. Non durerà molto : l’attesa di un figlio , la condurrà ad un ritiro forzato da parte della famiglia . Una moglie, una madre, che per salvaguardare ciò che per anni , l’emotività ha sudato , si imbatte in ultimo tentativo, restando dalla sua parte , “da questa parte”. Poi Daniela , l’amante. Sostiene che presto la sua vita cambierà : vivrà con lui, condivideranno insieme un progetto di vita… Altrimenti che fa , resta sola? “Bisognerebbe sapersi condividere … La solitudine è uno stato che possiamo vivere solo “serenamente”. E perché , se nessuno ci riesce, dovrebbe riuscirci proprio lei ?” Interrogativi dell’universo femminile, in soldoni, ma che di fatto sfociano in una dimensione altra : l’incapacità a star soli , a bastarsi, a realizzarsi senza che per forza, vi sia quell’osmosi tra uomo e donna, tanto agognata per la volontà di riempire vuoti presunti. Le immagini proiettate, intervalli fra espressioni acute di grande sensibilità autoriale e registica, danno spazio , al suono (per il contributo di Daniele Mazzotta) e a frasi d’urto.In uno spazio scenico che la Favillo condivide con abilità con le sue diverse interpretazioni, dall’impeto che la conduce a calpestare materialmente il palcoscenico, alla battuta più avanti del pensiero, ritroviamo un po’ della donna anni 30 (che Franca Valeri ha argutamente descritto in un testo recentemente). Quest’ultima, impegnata com’era a ritagliarsi il “sogno del matrimonio” , lasciava poco di sé a se stessa. Proprio questo spirito, comporterebbe, anche oggi, errori relazionali e nocivi alla serenità individuale e di coppia . Restare in scena, accanto a lui, l’uomo della vita, purché l’obiettivo sia centrato, illuminato, fa comprendere quanto il poco amore per se stessi faccia tremare i rapporti e quanto sia inutilmente incessante la lotta contro il buio. Perché , a volte, come ci dice una delle “tre” di questa sera, si ha l’illusione che al buio il rumore delle parole copra i pensieri .
Francesca Morgante