LA FIGURA PATERNA NEL CONTESTO POETICO
Al centro del passaggio tra lo stato dell’infanzia e dell’adolescenza, c’è il rapporto che si instaura
con il padre e spesso questa condizione appare conflittuale.
I bambini considerano il proprio padre come un essere superiore, come un modello da imitare.
Nella fase adolescenziale questa loro considerazione cambia, cambia il loro senso di inferiorità al
cospetto paterno ed inizia una vera sfida che si tramuta in una competizione ed in una
contestazione sulla sua autorità. Tutto viene messo in discussione, fin quando la maturità
farà vedere all’adolescente aspetti diversi, delineando le differenze tra se stesso e la personalità
paterna ed in questo difficile percorso si riusciranno anche a riconoscere gli insegnamenti che si
sono assorbiti dal proprio genitore e le differenze caratteriali.
Camillo Sbarbaro descrive nella sua poesia “Padre che muori tutti i giorni un poco” il dolore
provato ed anticipato all’avvicinarsi dell’imminente morte del genitore. In un dialogo con se stesso
rivive tutti i momenti vissuti con lui. Ci parla del suo senso di colpa per averlo più volte attaccato
nei rapporti e si impegna a trarre il bello dei suoi insegnamenti.
Anche Kafka affronta le problematiche del rapporto genitoriale paterno che risulta rigido. Nella sua
poesia “Lettera al padre” descrive tutte le sue difficoltà subite, gli ostacoli paterni nel
contrarre matrimonio con una ragazza ebrea proletaria. In “Padre padrone” Gavino Ledda descrive
il suo rapporto violento con il padre, la cultura e le tradizioni legate a rapporti familiari patriarcali.
Dante Maffei nel “Dito arrugginito” invece fa descrizione di un padre protettivo. Camillo Sbarbaro
descrive una figura paterna dolce e gioiosa. Umberto Saba descrive un rapporto paterno che si
instaura in qualità di figlio di genitori separati e dalla continua demolizione ad opera di sua madre,
della figura paterna ai suoi occhi. In età adulta Saba non condanna suo padre per aver declinato
il proprio dovere nella ricerca di un suo esclusivo piacere personale.
Il glicine centenario
Distesa sul letto
e dai miei occhi
ruscelli caldi scivolano giù
ed intorno il vuoto.
Da dove devo iniziare
quali passi devo fare
non lo ricordo più.
Pulisco la mia casa
e la mia mente
e tento di rinascere
anche con un taglio di capelli decente
e poi cerco di vedere dentro di me
che cosa di buono c’è.
Per scelta o per destino devo proseguire,
facendo tutto quello che deve avvenire,
con l’orgoglio dentro
di chi poi sempre dice:
“ce la faccio” ma poi mente.
E piano piano
provo a sollevare questo corpo inerme
ed ogni giorno mi dico
tutto scorre sempre,
anche se nella vita di mio
non ci metto niente.
E come il glicine centenario
anche se dovessi spendere una vita intera
parlerò sempre d’amore.
(Luisa de Franchis)