ADOZIONE:CICCIOBELLO NON ESISTE
Molte sono le coppie che decidono di adottare un bambino con una sorta di sogno nel cassetto:”finalmente avremo il bimbo tanto sognato capace di risarcirci emotivamente di tutte le frustrazioni subite in tutti questi anni”. Mi riferisco a quelle coppie che ripiegano sulla scelta dell’adozione perché incapaci di concepire naturalmente un figlio e dopo una lunga serie di tentativi andati a vuoto tesi al concepimento di un bambino, decidono di incamminarsi lungo il complesso cammino dell’adozione. Ma cosa implica sui piani emotivi l’adozione?. Essa va vista come un incontro tra persone con problemi non risolti poiché da un lato abbiamo un bambino che necessita di aiuto da parte dei genitori adottivi di elaborare il lutto per la perdita dei legami precedenti e delle esperienze dolorose e frustranti vissute e dall’altro una coppia sterile adottiva che il più delle volte è invasa da sensi di inadeguatezza e non raramente di colpa per l’usurpazione del ruolo genitoriale che si intreccia con conseguenti timori di poter non essere amato o abbandonato dal figlio. Ciò determina l’innescamento di un un meccanismo basato sul possesso esclusivo del bambino caratterizzato anche da un tentativo di negare la presenza degli altri genitori sia tacendo su di loro e su tutta l’esperienza precedente del bambino, sia scoraggiando in lui eventuali ricordi per scongiurare e annullare la realtà del suo avere una doppia coppia di genitori. Pertanto risulta indispensabile al fine di costruire una storia comune essere disponibili al dialogo sul passato. In particolare l’adolescenza dell’adottato viene descritta come momento critico per eccellenza della famiglia adottiva. Essa infatti comporta la ricerca da parte del ragazzo di una propria identità ,interrogandosi sulle prospettiva future ma anche sulla sua origine e la sua storia passata. Quanto più la famiglia adottiva avrà avuto timore a confrontarsi con questa realtà ,tanto meno ciò sarà semplice perché il ragazzo sarà portato ad attribuire loro un significato negativo. Credo che il delicato incontro tra queste due realtà molto sofferte necessiti di parole anche se esse spaventano al fine di costruire quella famiglia tanto desiderata da entrambe le parti.
Kahlil Gibran scriveva: i tuoi figli non sono i figli tuoi,sono i figli e le figlie della vita stessa. Tu li metti al mondo, ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua. Puoi dare loro tutto il tuo amore ma non le tue idee,perché essi hanno le proprie idee.
Monica Martuccelli –psicoterapeuta sessuologa
D.ssa Monica Martuccelli, mail:martuccellim@tiscali.it