Una norma che non tutela l’indagato-persona
Sembra un assurdo logico, ma purtroppo è una verità sempre più diffusa e radicata nel nostro Paese.
Basta semplicemente approcciarsi con occhio critico alla questione per scorgere che il sistema normativo autorizza indirettamente i media a violare la dignità dell’indagato come persona.
A conferma di ciò l’esistenza di trasmissioni televisive che affrontano temi di cronaca nera toccando picchi di ascolto elevatissimi e che riescono a diffondere in tempo reale materiale processuale su cui “dovrebbe” vigere un obbligo di segretezza oltre ad un divieto di pubblicazione.
Sebbene esista nell’ordinamento una norma che vieti la pubblicazione degli atti del procedimento, essa non sortisce l’effetto deterrente cui sembra ambire.
La risposta di questo “insuccesso” è nella disposizione normativa stessa che disciplina il divieto: l’art 684c.p la quale in modo molto semplice e lineare (a parer mio quasi ironico) ci dice che: “ Chiunque pubblica, in tutto o in parte anche per riassunto o a guisa d’informazione, atti o documenti di un procedimento penale, di cui sia vietata per legge la pubblicazione, è punito con l’arresto FINO A 30 GIORNI O CON L’AMMENDA DA 51 A 258 EURO” (Si tratta di una contravvenzione oblazionabile con il versamento di 120 euro ai sensi dell’art 162 bis c.p.).
E’ chiaro dalla sola lettura di questa disposizione il come sia scarsa l’efficacia deterrente che una norma del genere può esplicare nei confronti di giornalisti interessati a pubblicare notizie scoop per fare carriera ed incrementare i profitti dell’editore.
La norma quindi, non pare idonea a garantire quei valori giuridici che dovrebbero essere tutelati in un sistema che voglia definirsi garantista quali: la riservatezza dei soggetti coinvolti nel processo penale, la serena amministrazione della giustizia e la presunzione di innocenza dell’imputato.
Concetta Vernazzaro