SOCIETA’ DI “MALA IUSTITIA” Colpevoli di Innocenza di Pietro Funaro
Un libro indagine, inquietante perché richiama storie di vita, coraggioso per il suo affaccio sulle verità e per l’ aberrante vicenda dell’autore.
Il moderatore, grande maestro di giornalismo, oltre che uomo di cultura, Ermanno Corsi, sottopone tre punti all’attenzione di chi ascolta, tre punti su cui riflettere: il reato che non c’è o, reato fantasma art. 110 e art. 416 bis concorso esterno in associazione mafiosa.
Per questo reato, frutto di uno studio di ingegneria giuridica, ricorda le vicende processuali di Antonio Gava, Carmelo Conte, anch’egli intervenuto alla presentazione del libro di Funaro, di Calogero Mannino e di altri, compreso quello dell’autore del libro stesso.
Altro punto di discussione è l’avvio ad una giustizia che viva una dimensione “orizzontale”, che non guarda ai nomi ma alle vicende, e quì il richiamo del mediatore , al libro di George Orwell, edito dalla Mondadori: “la Fattoria degli Animali”, all’interno del quale si evince la disparità della giustizia ovvero, si erge sulle vicende, l’assunto che non è vero che la giustizia è uguale per tutti ma, c’è sempre qualcuno per cui la giustizia è più uguale che per altri.
Altra attenta riflessione, sull’uso eccessivo della custodia cautelare, sottolineando come l’Italia, sia un caso unico comparando con l’Europa, e non solo per i casi di custodia cautelare ma, anche per i casi di prescrizione dei termini di procedibilità, evidenziando quanto certa magistratura esprima un operato discrezionale.
Altro punto su cui, il giornalista, ha posto l’accento: l’equivalente risarcimento danno. Per questo argomento richiama ad esempio, il caso di Enzo Tortora e in particolare la lettera che egli scrisse a sua moglie dal carcere, di cui riportiamo una frase saliente: “io quì sono detenuto ma mi sento in uno zoo di disperati!”.
Quasi automatico il passaggio allo spinoso argomento della diretta responsabilità dei magistrati.
Responsabilità prevista ma in forma così macchinosa, sono previsti ben nove gradi di giudizio, da significare che è quasi impossibile vederne l’applicazione, infatti si può dire che i casi siano pressochè inesistenti. Si è ritenuto di sottolineare il passaggio, seppur flebile, dalla legge Vassalli all’emendamento della Severino, dove i passi verso il riconoscimento della responsabilità dei magistrati, sono stati fatti in maniera molto timida e, con non poche resistenze.
Doverosa evidenziazione del problema della magistratura o meglio dei magistrati che lasciano la toga per entrare in politica, ricordando una frase del giudice Giorgio Santacroce, presidente della Corte d’Appello di Roma, il quale afferma che “quando la magistratura prende la porta della politica, la giustizia esce dalla finestra”. Su quest’argomento interverrà Gianfranco Rotondi, già ministro per l’Attuazione del Programma che darà una sua idea sull’origine delle resistenze, riguardo la separazione delle carriere e delle funzioni.
G. Rotondi con estrema semplicità e onestà ha affermato che nonostante più volte, durante il suo mandato, si sia affermata la necessità di occuparsi dell’argomento, in realtà non si è mai riusciti ad attuare alcuna risoluzione definitiva.
Ha inoltre sottolineato che il problema, non è tanto nel separare le carriere, quanto nel fatto che se ci sono magistrati che decidono di usare la toga per fare carriera o politica, sarebbe auspicabile una riforma del CSM, partendo dalla coscienza del magistrato, ritenendo patologico che se un magistrato si fa un nome sia “normale” il passaggio alla carriera politica e, che la politica emaciata di personaggi all’altezza, debba recuperare carismi tra i magistrati, allora è evidente che qualcosa è da rivedere. Pertanto, sostiene che se un magistrato è un bravo magistrato nulla toglie che possa essere un bravo politico e, cita il caso del ministro di Grazia e Giustizia, seppur per breve tempo, Scotti, derivante dal governo Prodi.
G. Rotondi, chiude il suo intervento, sottolineando che il problema non è nella separazione delle carriere ma nel percorso della carriera:
“bisogna che il merito non sia, la pubblicità dovuta alle inchieste condotte”, spezzando così, il filo conduttore tra notorietà e politica.
A questo punto si collega l’intervento di Alfonso Ruffo, che non ha bisogno di presentazioni, della rivista “Denaro” , che ha scritto la prefazione del libro del Funaro, sulla spettacolarizzazione della Giustizia che ha consentito a Leonardo Sciascia, di sottolineare che troppi magistrati devono la loro carriera alle apparizioni televisive o alle prime pagine sui giornali, complice certa stampa, piuttosto che a meriti nelle aule dei Tribunali.
Altro intervento di merito, quello dell’avvocato Marcello Lala, sulle difficoltà di assicurare il pieno diritto alla difesa, sottolineando quanto, certi errori, presentino il conto non solo agli imputati ma, anche a coloro che vivono intorno: ai familiari, agli amici. Evidenzia quanto la giustizia civile, piuttosto che quella penale, non sia in grado di assicurare tempi normali e costi sopportabili per chiunque, facendo anche di questo elemento, un indicatore di disparità.
Con tono sofferente ma senza alcuna flessione, ricorda il caso attuale di Ambrogio Crespi, sottoposto a dura carcerazione cautelare, in quanto un pentito avrebbe detto, e poi ritrattato, di conoscerlo. Da 130 giorni ad oggi è in carcere un uomo di questa nostra società e il motivo è nel lamento acuto dell’ingiustizia.
Qualcosa non funziona è evidente, come evidente che marcisce nelle celle la pulsione a trovare un rimedio, una soluzione.
Ancora di più il sistema annaspa se si pensa, aggiunge l’avvocato Lala, che tre magistrati e tra questi Ingroia (simbolo del partito dei magistrati) che hanno fatto un’importante inchiesta contro politici poi, si riuniscono e fanno un partito politico.
Giandomenico Lepore già Procuratore della Repubblica di Napoli, sottolinea la differenza tra il processo accusatorio e il processo inquisitorio superato, che assicurava garanzie e poteri ai P.M..
Oggi i P.M. fanno indagini con l’ausilio della polizia giudiziaria, poi sottopongono ai GIP o ai GUP le richieste per perquisizioni o arresti, ma non dispongono più degli strumenti incisivi di prima. Continua dicendo, quanto il PM oggi debba essere non solo preparato tecnicamente ma, dotato di una fondamentale virtù, del Buon Senso, per evitare di incappare in incaute ingiustizie.
L’autore del libro Mala Iustitia, Pietro Funaro, nel ringraziare gli ospiti e gli amici, amici dell’Uomo e della Giustizia, nel ricordare quanto sia pericoloso usare lo Strumento per fini politici e, quanto certo spettacolo sia la strada illuminante il bieco percorso, ringrazia la sua famiglia, sua moglie, sua figlia, suo fratello per averlo sostenuto durante il calvario e se da un lato ringrazia, dall’altro, accusa e perdona chi ha giocato con le vite, quasi sostenendo una incapacità a sentire una così alta responsabilità.
Con amarezza sostiene la sensazione che la Procura di Napoli avesse bisogno delle luci dei riflettori forse troppo accesi su quella di Milano. Spiega quanto la sua profonda fede cristiana l’abbia aiutato, nel momento in cui (per ben tre volte arrestato per lo stesso reato, quindi in maniera illegittima, come sancito dalla Corte di Cassazione) chiese al magistrato Iaselli “perché … se è tutto inventato e non ci può essere reato in quanto il reato non esiste”, lei rispose: per Etica ( ma forse dovremmo scriverlo con lettera quasi impercettibile).
Ecco il motivo per cui, ci sono quelli che parlano di Giustizia e quelli che ne temono l’errata applicazione.
Ecco perché, ci sono pagine tristi e indelebili nelle vite di uomini innocenti e nella vicenda giudiziaria italiana, di cui il libro di Pietro Funaro è lanterna di oscura testimonianza.
Una testimonianza che è tanto più preoccupante, quanto più essa rispecchia margini di errori che questo sistema fornisce, unitamente alla presunzione di certi uomini, di poter ignorare il Buon Senso che non giudica il danno cagionato da un “leggero” intervento di “giustizia”.
Per questo ci consentiremo la licenza di riprodurre lo scritto poetico di Pietro Antonio Domenico Bonaventura Trapassi detto Pietro Metastasio:
l’Impulsività
Pria di lasciar la sponda,
il buon nocchiero imita;
vedi se in calma è l’onda,
guarda se chiaro è il dì.
Voce del sen fuggita
Poi richiamar non vale
Non si trattien lo strale
Quando dall’arco uscì.
a cura di Brunella Postiglione