IL NUOVO GIOIELLO DEL CUORE DELL’AFRICA
Eccoci nel centro dell’Africa, il Congo. Tra la foresta della sua area orientale regna un pacifico silenzio, si ode solo un bisbiglìo sottile, sussurrato nell’atmosfera, dagli animali che la abitano. Tra gli alberi disboscati sta in piedi un uomo, che osserva con gli occhi del ricordo, dei profondi solchi che stroncano l’omogeneità della terra. L’uomo si guarda le mani e poi riosserva sollevato la miniera di fronte a sé e quella sabbia nera che luccica come tanti piccoli diamanti, sul fondo della buca.
Tutti i villaggi del Kivu, da Goma in poi, non sembrano più gli stessi: gli sfollati hanno trovato un’abitazione, le donne non hanno più paura di subire violenze, lasciano andare i figli a scuola senza il timore che vengano rapiti; sono terminati i tempi dei saccheggi. Il cielo sacralmente tace, come tacciono ora e per sempre i fucili.
La febbre dell’oro nero, dal nome coltan, ha smesso di esaltare gli animi di quanti, come Rwanda, Burundi, Uganda, Namibia, Stati Uniti, Belgio, Germania, Cina, si sono macchiati di sangue per impossessarsene.
Questa situazione di pace da una guerra che va avanti dal 1998 è ovviamente solo immaginaria, perché per dare una possibilità di convivenza serena ad una popolazione che conta 60 milioni di abitanti, dalle nostre parti, nel così detto occidente, dovremmo rinunciare ai cellulari, play station, aerei, computer, video camere, fibre ottiche, cellule fotovoltaiche ed ogni tipo di apparecchiatura elettronica.
Il coltan, la suadente sabbia nera, che si è instaurata tra le fondamenta della nuova economia, è un minerale che si ottiene dalla combinazione di columbite e tantalite ed è essenziale per la costruzione e lo sviluppo delle apparecchiature tecnologiche.
L’80% del coltan mondiale si trova nella regione dei grandi laghi congolese. La gestione della sua estrazione fa gola a molti ed ha portato ad una situazione di commercio illecito, nella quale interagiscono soldati ribelli di altre nazioni (che si combattono per ottenere il dominio della zona), multinazionali dell’elettronica occidentali e organizzazioni mafiose.
Il prezzo del minerale sale esponenzialmente ogni anno, nel 2004 era arrivato addirittura ad una cifra di 600 dollari al kg, permettendo ai guerriglieri di guadagnare più di un milione di dollari al mese. Un giro d’affari illecito, quello del coltan, che conviene a tutti, tranne alla popolazione residente. Solo nel 2008 si contavano più di 5 milioni di morti a causa della guerra, milioni di donne violentate per una media di 1100 donne al mese. Chi sopravvive alla crudezza di ciò che accade nel Congo orientale, è costretto a lavorare tutto il giorno nelle miniere per 0,18 centesimi di euro per ogni kg di coltan. I bambini risultano essere i più adatti a questo mestiere, vengono rapiti o venduti dalle famiglie per costringerli al lavoro forzato.
Una nazione, anche se molto lontana da noi, sta vivendo il conflitto più cruento che si sia visto dalla seconda guerra mondiale. Questa nazione è abituata a versare sangue, ma non più lacrime, da quindici anni; è una nazione completamente sfruttata per le immense risorse che possiede, stanca, che in ginocchio sostiene il progresso delle nostre vite e che sogna un futuro senza dover emigrare, quel futuro di pace e serenità immaginato tra le prime righe di quest’articolo.
Nel mondo ad oggi, tutte le corse per l’oro, per il petrolio ecc. hanno provocato la sofferenza o la fine di un popolo a vantaggio di un altro e nessun casco blu è mai riuscito ad impedirlo. Perciò delle domande sorgono spontanee: a chi appartengono le risorse della terra? Possono essere condivise equamente? L’uomo è in grado di utilizzarle senza sfruttare la popolazione che risiede in quella terra? Il progresso tecnico basta a giustificare il peso della schiavitù di altri popoli?
L’uomo non ha ancora imparato ad assumersi le responsabilità delle proprie azioni, a concepire le risorse della terra come un bene comune per tutti gli abitanti del pianeta, il cui utilizzo dovrebbe condurre ad un miglioramento della vita, non solo di alcuni, ma di tutti.
Si dice: “La mia libertà finisce dove inizia la tua” ma non si ci interroga sul senso di responsabilità nei confronti degli altri, dove inizia e dove finisce? In questo caso potrebbe incominciare, ricordandoci ogni volta che lo utilizziamo, qual’è il vero costo di un cellulare.
Kabwiku Aline