LOMOGRAFIA ED ANALOGICO: LE MODE CHE RITORNANO DAL PASSATO
A cura di Alessia Viviano
«Non pensare, scatta!» Con questa filosofia andava nascendo quella che sarebbe stata la Lomografia, un cult negli anni ’90. Porta la tua lomo ovunque tu vada, usala sempre di giorno e di notte, scatta senza guardare nel mirino, avvicinati più che puoi, non pensare, sii veloce, non preoccuparti in anticipo di quello che verrà impresso, non preoccuparti neppure dopo, non avere nessuna regola.
Questo era il dictat creato da due studenti austriaci che in quegli anni mentre passeggiavano in un mercatino furono colpiti da alcune macchine fotografiche 35 mm compatte di marca LOMO. Il nome è un acronimo che identifica anche il luogo di origine: Leningradskoe Optiko-Mechaničeskoe Ob”edinenie. Chiare, scure, sfuocate, improvvise, colorate, sbiadite, indefinite, in movimento, romantiche, vintage; questi sono gli aggettivi con cui riuscirete a identificare una foto lomografica. Trattenete il respiro, siate coraggiosi, cogliete l’occasione, muovetevi, scattate, correte, divertitevi, agite in fretta: ecco la filosofia d’approccio alla fotografia che sta nuovamente dilagando tra le nuove generazioni. E non c’è forse da stupirsene. Probabilmente l’alta definizione è cosi alta e perfetta che pare clonare qualsiasi foto seppur di contenuto diverso. Non vi sono difetti nelle immagini degli ultimi anni. Tutto appare limpido, senza macchie, senza che vi sia nulla da correggere, e quantunque ve ne fosse la necessità, ecco che sono subito rielaborate all’infinito con i noti programmi “Photoshop” che esprimono al meglio i concetti di omologato, stereotipato, impersonale, inespressivo, monotematico, standardizzato.
Le immagini “perfettamente” perfette che ci pervengono sui giornali di moda e non solo, limitano la libertà dell’essere se stessi, illudendoci di formule magiche che mascherano radicalmente la realtà. La perfezione è limitazione. Ma è l’errore, il difetto, l’anomalia che dà quel tocco che la perfezione non avrà mai, l’autenticità della realtà. Le immagini degli anni ’90 erano ricche di colori saturi, contrasti forti; erano caratterizzate dall’ uso di rullini scaduti e filtri colorati e soprattutto non vi era quasi mai scrupolo per l’inquadratura. Insomma era evidente una chiara ricerca del “difetto”, di distorsione prospettica e del rumore di fondo: spesso addirittura v’era l’impressione di più immagini sullo stesso fotogramma, rendendo la foto paradossalmente eccezionale nella sua unicità. Soggetti d’interesse erano solitamente le “street view” soprannominate più tardi nella definizione di “street photography”.
I concetti chiave erano espressi dai particolari ripresi casualmente, dai ritratti ravvicinati, dai momenti d’intimità, dai momenti di spensieratezza; questi erano tutti immortalati senza alcun raziocinio ed affidati al solo senso dell’occhio fugace. Fu cosi che dal voler essere un semplice ed innocuo approccio all’arte fotografica sfociò negli anni a venire in un vero e proprio stile di vita.
Restringere la parola lomografia nel senso proprio etimologico della parola poteva essere un insulto, una limitazione, una sintesi che non rispecchiava cosa stava accadendo realmente in quegli anni. Ben presto la lomografia divenne anche una linea di abbigliamento, gadgettistica varia, blog & community sul web, contest & workshop.
Ritornando al campo fotografico, vi fu un boom commerciale che vide come protagoniste queste piccole e comode macchinette realizzate in plastica – come la famosa Diana F , la Holga, la LC-A+ – che utilizzavano pellicole da 35mm o 120mm, in bianco e nero o a colori.
La peculiarità della vecchia foto lomografica, che lascia tutt’ora lontani dal concetto di perfezione della qualità d’immagine moderna, era proprio il suo “voler” essere sbagliata, magari anche con macchie, difetti nelle mescolanza dei colori; per poi non parlare dell’imprevedibilità dei risultati. La sorpresa era nello sviluppo del film: non v’era nulla di programmato, essendo tutto lasciato alla casualità del momento. In questi ultimi anni la nostalgia ha preso il sopravvento sulle nuove generazioni, per riportare le foto al loro splendore semplice ed originale; è oggi addirittura possibile cimentarsi direttamente con applicazioni per i-Phone (come Hypstamatic ) o con appositi tutorial Photoshop, per riprodurre la resa lomografica su un’immagine digitale. Ma perché riprodurre qualcosa di antico, di ormai superato? Non ci saremo mica già stufati dell’ HD?