RENZI, LETTA, BERLUSCONI: IL GRANDE GIOCO A TRE
Una volta c’erano le regole non scritte, un po’ ipocrite da rispettare. Oggi Matteo Renzi fa di tutto per girare pagina, specialmente su quelli che furono precetti inderogabili. Potrebbe essere una buona cosa se dietro il suo modo dimuoversi non ci fossero altri obiettivi. Potrebbe essere la svolta della politica spesso auspicata, ma mai realizzata. Silvio Berlusconi – quello che fu il nemico da abbattere per il Pd – che entra nella sede del partito per incontrasi con il suo segretario, più che una brutta notizia, è un’immagine da brivido per Bersani, Cuperlo, Fassina, Rosy Bindi e via dicendo. Ma se si mettono da parte i preconcetti e i copioni dei possibili film futuri, è ragionevole che Renzi s’incontri con il Cavaliere (e non solo) per provare, dopo tanti annunci, a definire una legge elettorale che dia al Paese una maggioranza stabile. Se poi dietro l’incontro c’è qualcos’altro d’ingannevole, si sa che “le bugie hanno le gambe corte”. Ed un passo falso (furbo) del sindaco di Firenze significherebbe l’evaporazione dei quasi tre milioni di voti che l’hanno portato alla guida dei democrat.
Dal canto suo il presidente del Consiglio Letta non può far altro che stare a guardare e raccomandare a Renzi di ricordarsi che una maggioranza a palazzo Chigi c’è e, quindi, sulla legge elettorale sarebbe stato il caso di raggiungere prima un’intesa con gli alleati eppoi confrontarsi con il capo di Forza Italia. Ma tant’è. Enrico Letta non può far altro che stare a guardare e prendere le provocazioni, a volte pesanti, da parte del segretario del Pd come “stimoli”, “incitamenti”. Fino a quando? Fino a che il giocattolo non si romperà per troppe sollecitazioni. In quel caso bisognerà vedere il cerino delle responsabilità a chi resterà nelle mai. Beppe Grillo non aspetta altro per provare a fare “bingo”, con i guai degli altri.
Il presidente Letta sa bene che è in atto un braccio di ferro tra lui e quello che dovrebbe essere il suo maggior sostenitore. Una contrapposizione che nella fase attuale vede in vantaggio il sindaco di Firenze, sia per il consenso ottenuto al congresso del Pd, sia perché non deve ogni giorno cucire strappi, prendere decisioni non popolari, governare insomma il Paese. Non è detto però che la situazione non possa capovolgersi. A favore dell’ex vice segretario del Pd ai tempi di Bersani c’è l’immagine internazionale positiva che si è creata, ma anche la determinazione che il suo governo ha dimostrato in situazioni difficili. Certo, non sono mancati i pasticci, ma da ex democristiano forgiato alla scuola di Beniamino Andreatta, ne è uscito sempre senza troppi danni.
Alla fine dell’incontro al Nazareno il segretario del Partito democratico parla di “profonda sintonia” con Forza Italia, non solo sulla riforma del “Porcellum”, ma anche sull’abolizione del Senato e su di una revisione del Titolo V della Costituzione. Bisognerà vedere negli atti parlamentari prossimi se ciò si realizzerà. Per il momento tutti sono guardinghi. Lo è Angelino Alfano, preoccupato che la “spaccatura”, con il suo papà politico Silvio, possa essere annullata da una legge elettorale che provi a cancellare le forze minori. Anche se sostiene che proprio per merito suo è saltato il modello spagnolo che avrebbe sancito in Italia il bipartitismo e non il bipolarismo. Sono spaventati i rappresentanti di Scelta Civica e Popolari per l’Italia che si potrebbero veder cassati dall’accordo Renzi-Berlusconi. Piovono sull’intesa epiteti forti da parte della Lega e di Sel. Insomma, tutti sospettosi, con un sacco di riserve mentali da alcuni opportunamente non espresse. C’è sempre tempo per alzare la voce e dimostrare dissenso.
Chi per il momento ha già incassato dall’operazione dei dividendi insperati è l’ex presidente del Consiglio Berlusconi. Perché è la prima volta che entra formalmente nella sede del Pd, in una fase politica per lui non troppo brillante, dopo la sentenza definitiva per frode fiscale e dopo la rottura con il suo ex fido furiere Angelino Alfano. Lui, il Cavaliere, nel passato incontri importanti con i vari capataz della sinistra li aveva già avuti. S’era incontrato nel 1997 con Massimo D’Alema, siglando con lui il cosiddetto “patto della crostata”. Sempre sulle riforme costituzionali nel 2007 si era visto con Valter Veltroni per discutere del Vassallum, riforma elettorale. Ed ancora nel 2001 c’era stato un summit con Francesco Rutelli per trattare di economia e conflitto d’interessi. Iniziative molto pubblicizzate che non hanno portato al Paese nessuna delle riforme annunciate. Ma i tempi allora erano diversi. Il discredito della politica non aveva raggiunto gli attuali livelli. Oggi sia Berlusconi che Renzi hanno la necessità di chiudere al più presto un’intesa che immediatamente dovrà trasformarsi in provvedimenti legislativi. L’uno, Renzi, per decretare senza ombra di dubbio la leadership nel suo partito e nel Paese, governo compreso. L’altro, Berlusconi, per ritornare determinante, anche se da “pregiudicato”, nella vita politica italiana. Ma anche, e forse soprattutto, per levarsi un po’ di sassolini dalle scarpe con quelli che accelerarono la sua uscita dal Parlamento, con chi aveva decretato senza appello la sua fine politica, con i ministri dissidenti, ma anche con l’attuale dirigenza di Forza Italia che non gli fa realizzare i cambiamenti che vorrebbe nella gestione del suo partito. Insomma, una soddisfazione personale e politica importante.
Un politico che non può che gioire per l’ipotesi dell’accordo tra il Pd e Forza Italia è il ministro delle politiche Agricole, Nunzia De Girolamo. Non per il fatto in sé, ma perché si è depotenziato l’interessamento mediatico sulle intercettazioni che le erano state rubate in merito alla USL di Benevento. Per il momento i media sono interessati da altre vicende.
a cura di di Elia Fiorillo