La scommessa: carcerate di Bologna, “stiliste” per Ikea
Un progetto di crescita professionale ha portato 4 delle 90 donne che scontano la loro pena presso il Carcere della Dozza a creare accessori con tessuti donati dal colosso svedese, che per un fine settimana metterà in vendita le loro creazioni
“La mia autostima cresce, questo progetto mi fa pensare che almeno qualcosa di buono sono riuscita a farlo”. Commenta così Francesca, detenuta al penitenziario della Dozza, il fatto che Ikea abbia commissionato al laboratorio sartoriale interno al carcere borse, grembiuli e astucci, tutti confezionati dalle detenute con 5 grandi rotoli di stoffa donata dal marchio svedese.
Delle 90 donne detenute a Bologna, 4 hanno avuto accesso al laboratorio, completamente gestito dai volontari, “Gomito a Gomito”. Fino a ora il laboratorio ha venduto ai Mercati della terra gli oggetti che ha confezionato, fino ad attirare l’interesse del negozio Ikea di Bologna che venderà durante il week end del 12 e 13 aprile (week end caldo per il design, grazie al Salone del mobile di Milano: le coloratissime creazioni delle ragazze. I proventi della vendita andranno a finanziare il laboratorio e a garantire uno stipendio alle detenute che lavorano in sartoria.
“Un laboratorio come questo è importantissimo perché assolve a una parte della funzione rieducativa della detenzione: insegnare un mestiere, dare un senso alle giornate delle detenute riempiendole di contenuti, portarle a collaborare tra loro, sono tutti elementi fondamentali dei vari programmi che si cercano di fare in carcere. Purtroppo le donne detenute a Bologna sono svantaggiate, perché non raggiungono un numero tale da potere fare partire dei programmi istituzionali, nemmeno quello scolastico.” Spiega la direttrice del carcere Claudia Clementi.
Le ragazze lavorano al laboratorio tutti i giorni per 4 ore, dal lunedi al venerdi. Durante la nostra visita, la sartoria è in piena attività: la radio è accesa e ognuna è al lavoro sulla propria macchina da cucire, o intenta a tagliare stoffe, sotto gli occhi attenti della volontaria Enrica Morandi, una ex funzionaria della pubblica amministrazione, ora in pensione. Alle pareti ci sono I disegni di un’altra detenuta, che preferisce rimanere anomina, alcuni dei quali sono diventati parti integranti di una passata collezione di borse: “Sono autodidatta, ho imparato da sola a disegnare” racconta rompendo il silenzio con cui lavora. Francesca, invece, chiacchiera molto: “Sono la “scherzosa” del gruppo. Mi piace essere allegra, cercare il lato positivo per affrontare la nostra situazione”. Mentre lavorano ascoltano la radio. Le agenti di guardia passano, si fermano sulla porta, sorvegliano discretamente la nostra chiacchierata. “Assistente” le apostrofa Francesca “cosa dici, sono stata brava? Non ho detto nemmeno una parolaccia”.