La moda litiga: la contesa per una G
Di chi è la G? Chi si identifica con la settima lettera dell’alfabeto? Gucci, il marchio fiorentino della moda che oggi fa parte della scuderia francese di Kering? O Guess, il brand americano co-creato da Paul Marciano? Forse, se i mercati non si fossero così enormemente allargati, il problema avrebbe potuto non porsi nemmeno e ognuno si sarebbe tenuto la propria, di G; tonda, quadrata o con il tratteggio. L’uno su un lato dell’oceano, l’altro su quello opposto. Ma oggi che tutti devono essere ovunque nel mondo, il rischio di confusione è alto e il «caso della G» è diventato una partita internazionale che da sei anni si gioca su tre continenti diversi — l’Europa, l’America e l’Asia — con risultati che si alternano a dimostrazione della complessità della materia. Tema delicatissimo, quello della tutela della creatività e della proprietà intellettuale. Che sempre più spesso, però, vede impegnate le imprese dello stile e insieme a loro le aziende dell’alimentare o tecnologiche. È da ricordare, per esempio, la vittoria di Christian Louboutin come «re» della suola rossa (tranne quelle con tomaia dello stesso colore) nella contesa che lo ha visto opporsi a Ysl. O la battaglia che ha messo su fronti avversi il gigante francese del lusso Lvmh e il gigante americano dei motori di ricerca, Google.