Al Pan si è raccontato: il coraggio di un padre quello di Savio Esposito e, la creatività dei napoletani
La necessità di partire, il coraggio di un padre è stato il tema del secondo incontro dei racconti del possibile, eccezionali storie normali, che si è tenuto ieri al Pan. Una rassegna di incontri organizzata dai giornalisti Marcello Milone, Rita Felerico e la Fondazione Govoni. Il protagonista della storia raccontata, è stato Giuseppe Esposito, padre di Salvatore, che ha raggiunto l’apice del suo successo impersonando il camorrista Genny Savastano nella serie cult, Gomorra. Salvatore, lavorava presso un noto fast food, ma il suo sogno è stato da sempre quello della recitazione e non ha esitato un momento a lasciare il certo per l’incerto e a confidare nell’aiuto del padre per intraprendere la carriera di attore. Una decisione azzardata, non priva di rischi e di possibili fallimenti che avrebbe comunque richiesto molti sacrifici soprattutto economici. Papà Giuseppe, comprende il desiderio del figlio ed insieme realizzano un cronoprogramma di obiettivi da raggiungere con coraggio e determinazione. L’esempio raccontato da Giuseppe, è stato il litemotiv del dibattito dove è emerso il valore della famiglia e l’importanza della cooperazione di molti per sostenere talenti, che altrimenti andrebbero dispersi. E’ intervenuto Domenico Lanzo, presidente della società Netcom Group che costruisce tecnologie informatiche e media Tv che vanta quattro sedi in Italia e, dove lavorano in maggioranza napoletani. Lanzo, sostiene che i napoletani sono creativi e questo rappresenta un valore aggiunto, che sfata il preconcetto che spesso li accompagna in Italia e nel mondo. La nostra creatività continua Lanzo, è esportata all’estero perché in Italia non trova mezzi e sostegno per essere impiegata. Una realtà da controvertere come sta facendo la sua azienda che è in continua crescita e incentiva i giovani napoletani. Una considerazione sorta sull’osservazione di quanti professionisti, pur lavorando per le aziende internazionali più importanti nel mondo, mantengono seppure da lontano, vivo il legame con le proprie origini. Un dato importante, che riporta al valore della famiglia, del territorio delle proprie radici che vanno conservate attraverso la creazione di occasioni lavorative e di mezzi. Il sociologo Antonio Sposito, trae spunto dalla famiglia di Giuseppe, per sottolineare come nelle società pre-individualistiche era impensabile mettersi contro il volere dei genitori. Nelle società individualistiche e democratiche questo elemento invece è possibile: io posso mettermi contro il volere della mia famiglia perché ho il diritto di reclamare i miei sogni. La famiglia è un microsistema, una cellula, in cui tutto questo diventa esemplificativo. L’intervento del giornalista e scrittore Antonio Menna, ha sollevato una questione spinosa e ancora attuale nel Sud, attraverso il confronto dei protagonisti del suo libro “se Steve Jobs fosse nato Napoli. E’ difficile se non assurdo pensare come tre giovani della Silicon Valley con meno di venticinque anni, abbiano trovato dei finanziatori e fondato Apple, Google e Facebbok cambiando le loro sorti e quelle del mondo mentre, ai tre giovani napoletani è stato reso tutto più difficile. Non è una questione di poca intelligenza, di deficit creativo, di qualità umane, ma di contesto, di luogo, di cultura, di istituzioni e di noi stessi di come ci poniamo con la comunità. Una cosa è certa, conclude Menna, se non c’è un luogo che si allea con il talento, questo sfiorisce o se ne va. Sta a noi, credere fortemente in quello che facciamo, di trovare il coraggio di inseguire i nostri sogni a tutti costi e di restare e lottare per un futuro migliore dove siamo, anche se andare lontano per necessità, richiede altrettanto coraggio.