Imma Villa in Scannasurice l’arte della napoletanità
Di Natascia Caccavale
Il teatro non è altro che il disperato sforzo dell’uomo di dare senso alla vita, sosteneva Eduardo De Filippo e, l’attore a mio avviso, ha un grande compito nel realizzare questa missione. L’arte della recitazione richiede indubbiamente un’inclinazione naturale, la stessa posseduta da Imma Villa, attrice napoletana vera rivelazione di quest’anno. Ha calcato le scene molto presto, a dodici anni accanto al padre, Geppino Villa, attore e scrittore napoletano. E pensare che la recitazione non le piaceva, tanto da definirsi incapace nel farlo quando le veniva chiesto. Probabilmente, Imma aveva solo bisogno di far venire fuori la sua vera natura, quella di animale da palcoscenico. Strepitosa è la sua interpretazione nella messa in scena di “Scannasurice” scritto da Enzo Moscato, che l’ha anche interpretato. La storia narra di una Napoli post terremoto del 1980, delle difficoltà della ricostruzione e delle condizioni di degrado, ma soprattutto di esclusione sociale di una certa categoria di napoletani dei Quartieri Spagnoli. Scannasurice è un’identità androgina, che abita in una stamberga in cui le fanno compagnia i topi (i surici), metafora dei napoletani stessi, i fantasmi delle leggende metropolitane e i propri. Il monologo, narra, descrive, lascia percepire, la ricerca di un’identità del personaggio smarrito dentro le macerie della storia e di una quotidianità terremotata, fisicamente e metafisicamente. Scannasurice è uno dei femminielli raccontati dall’autore, quasi magico, senza identità sessuale in un alternarsi di ambiguità ed eccesso. Imma Villa, con la sua recitazione interpreta questo ruolo con grande maestria. Il proscenio è deprimente, quasi soffocante, rappresentato da una costruzione a tre piani, immersa nelle macerie, tra i rifiuti e i topi. Scannasurice si muove in questo reticolato assumendo le posizioni più strane, si accovaccia, striscia, sale, scende in un incessante movimento mentre parla ai suoi topi con affetto e talvolta con disprezzo, si rivolge al pubblico, in un racconto di storie che rievocano la Bella Mbriana e o Munaciello. Il racconto si fa profondo, intenso, in un’esasperata ricerca di risalire verso un luogo di salvezza, riflette spudoratamente la solitudine umana, a quel bisogno atavico dell’altro, che ti accoglie, ti dona forza, amore coraggio e ti accetta come sei. Per Moscato, la sua opera si trova in un polemico rifiuto a non volersi allineare, a non cercare di nascondersi (pure lui), all’indomani del terremoto, ma di evidenziare soprattutto lucida e irrimediabile visione del massacro, dell’eccidio, dello sterminio, non tanto di persone o case, quanto d’idee, emozioni e sentimenti. Imma Villa trasmette fino all’ultimo respiro, il dolore, le ferite le faglie, le fratture dei nostri animi.