Intervista a Giuseppe Peltrini: cantante, attore, showman “superstar” in arte Joe
Come ben sappiamo, il Covid-19 ha costretto non solo un’intera nazione a chiudersi, ma l’Italia si è trovata anche ad affrontare un’emergenza senza precedenti. La vita sociale sembra essersi fermata, ma ciò nonostante, il popolo si è attrezzato: i lavoratori hanno scoperto le vaste possibilità dello “smart working” (ancora poco diffuso in Italia), il web è stato invaso da corsi online, in streaming e dirette per gli amanti dello sport, i musei di tutto il mondo hanno messo a disposizione le loro sale con tour virtuali delle esposizioni, impazzano corsi di danza, musica e fotografia e altri più professionali per il lavoro. Inoltre, aperitivi e feste ormai diventano virtuali, comodamente dal proprio tavolo o divano, in tuta o in pigiama, a volte sembrano anche più veri. E l’arte, il cinema e la musica dove li abbiamo lasciati? Limitati dalle circostanze e forse irreparabilmente condizionati, ma “The show must go on”! Non possiamo raccogliere la voce di tutti, però in questo articolo approfondiremo la situazione dei musicisti che si stanno confrontando con fardelli silenziosi e pesanti. Incontriamo per l’occasione Giuseppe Peltrini, in arte Joe, un ragazzo dalle origini partenopee, molto creativo e amante della musica e dello spettacolo. Durante la sua carriera, ha avuto la fortuna di salire su palchi importanti e pian piano ha esordito come cantante. Lo si potrebbe definire come una vera e propria testimonianza d’amore per la musica, che malgrado il Covid ha vinto.
Innanzitutto quali sono stati i tuoi primi passi nel mondo della musica? Raccontaceli.
Il mio incontro con la musica è accaduto per caso, nel senso che a casa mia non c’era una tradizione musicale, nessun parente musicista, giusto mio padre che si dilettava nel cantare, a casa o in qualsiasi altro posto, canzoni di grandi cantautori italiani come Massimo Ranieri, Lucio Dalla, Carosone e tanti altri. All’età di circa 13 anni, in un quartiere popolare di Udine, dove tutt’ora vivo, quasi per gioco ho deciso di far parte di una band composta da 4 ragazzi, che erano in cerca di qualche stimolo per sopperire alle tante difficoltà di un quartiere difficile come tanti. Da quel momento ho cominciato a scrivere i miei primi brani e a fare dei piccoli concerti, ma un paio di anni dopo il gruppo si è sciolto.
Dopo una serie di esperienze che ti hanno portato a esibirti con la tua band originaria, quali sono stati i primi progetti in campo musicale?
Ho deciso di intraprendere una strada alternativa, facendo dei brani rap assieme ad un producer e cantante, Denis Bobo, in arte Bobet. È stato un percorso che mi è servito per imparare la ritmica, portando alla ribalta brani importanti come “Yes woman”, inciso nel 2014 che mi ha permesso di conoscere e collaborare con artisti importanti come DJ Steve Forrest, Loop Luna, Gusto e altri artisti del panorama rap. Nel 2011 ho realizzato un disco vintage con un gruppo di musicisti del Triveneto, dal titolo “Gira”, con sonorità roots reggae, un po’ anni ‘60. Però, con il passare degli anni mi sono reso conto che avevo bisogno di stimoli nuovi, finché nel 2013 ho incontrato dei vecchi amici che erano i fondatori della sala prove nella quale suonavo con il mio primo gruppo. Quindi, abbiamo deciso di unirci e formare una nuova band, dal nome “Joe e i Fratelli”.
“Joe e i Fratelli” è una formazione che si è fatta da sola. Pertanto come siete emersi nel panorama musicale per farvi conoscere dal grande pubblico?
Nell’estate del 2014 abbiamo partecipato al Festival Show con una giuria composta da Luisa Corna, Grazia Di Michele, Sonohra, Cheryl Porter. È stata una grande vittoria per la band, in quanto ci siamo classificati nei primi 30 su più di 1000 partecipanti di tutta Italia. Nell’inverno dello stesso anno, abbiamo partecipato al programma televisivo di “Tú sí que vales” su Canale 5, presentando un brano molto divertente e simpatico, dal titolo “Rosa spinosa”. Inoltre, siamo stati ospiti anche in varie trasmissioni televisive e radiofoniche locali nazionali. Nel 2015 una nota agenzia di Milano, la Hub Music Factory, capitanata da Alessandro Fabbro e Tiziana Seregni, ci ha offerto la possibilità di salire su palchi importanti, riscuotendo un buon successo come al Live Music Club di Trezzo d’Adda aprendo il concerto di Giuliano Palma & The Bluebeaters, New York Ska Jazz. Nello stesso anno abbiamo anche ottenuto un contratto discografico con un’etichetta importante, la Indiebox di Brescia. Nell’estate del 2016 siamo stati il gruppo spalla del tour italiano dei Gogol Bordello e nel frattempo ci siamo dedicati alla pubblicazione di diversi video: “Briciole”, “Swing and Reggae’n Roll” e “Beautiful Day” (2017). Circa un anno dopo la rottura della band è arrivata, ma ciò non mi ha impedito di fare ancora musica!
Stai lavorando, in qualche modo, in questo periodo?
Attualmente mi sto dedicando ad un progetto molto interessante, con sonorità sia Pop Funky sia elettroniche anni 80, con la collaborazione di un producer indipendente Raffaele di Bin, in arte Raffael, musicista e tecnico del suono, per non dimenticare anche la nostra spalla destra Francesco. Finora, abbiamo pubblicato il nostro primo video dal titolo “Passion”, che si può trovare su YouTube e Spotify.
La musica dal vivo è intrappolata in un limbo. Quali sono le tue considerazioni a riguardo?
La musica non si è mai fermata: sono state ideate forme nuove di ascolto come concerti online, video “homemade” e foto ricordo dei tour passati. Certo, la musica dal vivo è fonte di felicità, nulla eguaglia i brividi e l’emozione di un concerto live. È importante che tutti i musicisti, da quelli più conosciuti a quelli meno famosi, abbiano la possibilità di esprimere la propria arte. Non sarebbe la prima volta che cambiamo le nostre abitudini d’ascolto e fruizione, basti pensare che circa 20 anni fa la nostra routine comprendeva la visita al negozio di dischi, nelle nostre case c’erano le torri pieni di CD e lo stereo con la doppia cassetta. Oggi, i negozi di dischi sono luoghi mitologici e i porta-cd sono in soffitta…eppure non siam morti! Non abbiamo fatto alcuna rivoluzione, semplicemente i tempi sono cambiati e ci siamo adattati. Il mio auspicio è che anche questo aspetto della vita sociale possa rinascere, che si torni a cantare davanti ad un grande pubblico… Anche perché poterlo fare significherebbe che l’emergenza è rientrata e che si può tornare a riunirsi e ad abbracciarsi.
A cura di Jolanda Andretti