La danza del Re Ubu
Il nome Pere Ubu (Ubu Roi, pièce teatrale del commediografo francese di fine ‘800 Alfred Jarry), non diceva niente a nessuno ma aveva un bel ’suono’, la straordinaria la voce di David Thomas, un gigante con i capelli a cespuglio che cantava con un vocione da orco e musicisti come Revenstine, un cercarumori quando l’elettronica era tutt’altro che facile, il chitarrista Herman, un trasformatore elettrico da 125 in 380volts, la sezione ritmica di Krauss alla batteria e Maimone al basso che scandiscono una musica complessa e alienata. seppero dare una forma, un turbinio di note, con scenari post-industriali, schizofrenici e avanguardistici al nome a dir poco strano, di questo gruppo che fece di “Modern Dance” uno dei dischi miliari, di quella ondata musicale che fece la sua apparizione verso la fine degli anni ’70 chiamata “new wave”.
i Pere Ubu studiano e forgiano una formula Rock urticante e avanguardista, scevra da qualsiasi impulso commerciale e brutalmente proiettata verso la costruzione di un ideale artistico completo e totalizzante, oltre che in grado di raccogliere l’evoluzione della sperimentazione musicale underground in un gigantesco labirinto di visioni e di onirismi industrali
Prima di questo gli Ubu auto producono quattro singoli, uno più feroce dell’altro, prima di giungere a questo favoloso esordio. Il disco è tirato in poche copie, non entra mai in classifica, ma abbaglia subito i cercatori di rock diverso. Thomas e i suoi portano il rock verso nuove frontiere, senza dimenticare l’essenzialità delle sue origini. Producono una musica con la devastante energia del punk, il ruvido calore del blues e presagi di quelli che un giorno sarebbero stati chiamati ‘paesaggi immaginari’ dell’electro-music. La voce squassata del leader e mente del gruppo David Thomas, l’anti – Sinatra per il suo ‘mal di canto’ si diverte a scrivere alla rovescia la storia della canzone tipo, e fa della sua sgraziata e disarmonica vocalità il marchio di fabbrica del gruppo.The Modern Dance è il simbolo della “rovina” del Rock alle porte degli anni ’80, è il Rock che – nella sua dirompente estasi nichilista – nega se stesso, è il testamento spirituale di un’epoca e la visionaria apertura di un’altra. Rivoluzionario nei concetti, nelle tematiche e nelle atmosfere evocate, il capolavoro dei Pere Ubu è, assieme a Velvet Underground & Nico (inutile parlare anche dell’influenza giocata da Lou Reed e John Cale su Thomas e compagni), una delle più sconvolgenti opere dell’avanguardia underground del ventennio ’60-’70, in quanto in grado di riassumerne aspetti e contraddizioni per poi catapultarle in una dimensione del tutto nuova, una tabula rasa che azzera l’essenza stessa del Rock, lo distrugge, lo estirpa dai suoi più naturali contesti e ne suggerisce una nuova interpretazione assolutamente d’avanguardia. Maniaci della sperimentazione più brutale e al contempo del recupero (ora più serioso, ora più grottesco) del classic-rock a stelle e strisce, i Pere Ubu sono il punto di non ritorno di ciò che significò la ricerca musicale colto-popolare negli anni ’70, di quel massacrante connubio di disagio esistenziale, satira dissacrante e inquietudine creativa che, soprattutto grazie alle innovazioni di Thomas e Ravenstine, ha indelebilmente finito per influenzare gran parte di quella new wave sperimentale allora appena alle porte (The Pop Group e compagni..).
A cura di Antonio Elia
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