Na’ tazzulella e’ cafè
Conosciamo la bevanda che ha conquistato Napoli e il mondo. Nero, macchiato, schiumato, decaffeinato, corretto. Sono solo alcuni dei tantissimi modi in cui il caffè può essere degustato. Si, perchè questa bevanda fa ormai parte della nostra vita e spesso anche per questa sua scontata fama che non ci accorgiamo della sua importanza. Dalle prime luci del mattino, fino a tarda sera, immancabile è il sorseggiare una buona tazzina per cominciare bene la giornata, discutere con un amico o semplicemente per restare svegli durante un turno di lavoro. Il caffè è insomma più che una semplice bevanda ma un culto. Dalle infinite proprietà, sia benefiche che socializzanti, il caffè vanta una lunga tradizione e una altrettanto tecnica di lavorazione, tramandata nei secoli dalle torrefazioni nazionali. Esso, come già sappiamo, si ricava dalla omonima pianta, dalla quale si estraggono le bacche che sapientemente lavorate ci danno quel famoso chicco profumato. Dalla macinazione del chicco, precedentemente torrefatto, si ricava una polvere dal profumo molto intenso che, tramite macchine espresso, moka o per caffè all’americana, si ottiene la bevanda che, a seconda dei gusti e della cultura che varia da paese in paese, può essere più o meno concentrata. Si, perchè c’è chi lo desidera “lungo” come ad esempio nei paesi anglosassoni, oppure “corto” come nei paesi caldi e soprattutto da noi, in Italia. Ma come è giunto fino a noi? Inutile perderci nei meandri delle numerose leggende che si raccontano. Si può più semplicemente dire che il suo arrivo nel nostro paese (e nel nostro continente) risale al medioevo, quando le navi delle Repubbliche Marinare e dei commercianti con le Indie facevano rientro nei nostri porti carichi di novità provenienti dal mondo araba. Ne documentano l’attuale diffusione di torrefazioni e degustatori che, sono proprio concentrati in quelle zone dove anticamente si praticava questo commercio e cioè nel nord-est e nel sud della nostra penisola; Venezia e l’ex Regno di Napoli. Così, oltre all’invenzione della bussola e dei numeri, possiamo dire che anche per il caffè gli arabi hanno dato il loro particolare contributo. Esso era bevuto ancora prima del contatto con l’occidente e sicuramente la sua fama giunse a noi anche trainata dalla diffusione della religione islamica, la quale considerava il caffè come “Il vino dell’Islam” per le sue proprietà tonificanti e stimolanti, sicuramente da contrapporre a quelle del vino che annebbiavano e distraevano. I traffici commerciali e i commenti positivi degli avventurieri e dei mercanti contribuirono alla sua rapida diffusione. Il boom avvenne verso gli inizi del seicento a Venezia dove sorsero le prime caffetterie, poichè il caffè stimolava la socialità, faceva bene alla salute ma soprattutto arricchiva le casse della Serenissima. Nello Stato della Chiesa però, ci volle un pò di tempo perchè essendo di origine musulmana, era considerata bevanda del diavolo e quindi messa al bando da Papa Clemente VIII che però decise di reintegrarla solo dopo averla assaggiata. Luoghi di “culto” del caffè sono proprio i bar che di volta in volta si aprivano sulla scia di questo successo. Molti di questi sono esistenti ancora oggi come ad esempio il Caffè Florian sotto i portici di S. Marco a Venezia; il Caffè Greco a Roma; il San Carlo a Torino e molti altri ancora. Quando pensiamo al caffè pensiamo al Brasile. Infatti anche qui prima dell’avvento dei Conquistadores si coltivava e consumava il caffè insieme ad altre bacche allora sconosciute come ad esempio il cacao. Mescolare queste bacche con acqua produceva una bevanda tonificante che, non aveva sicuramente lo stesso sapore e aspetto di quella attuale, ma che conferiva energia e forza per i lavori pesanti e quelli intellettualmente impegnativi. Il caffè, data la sua importanza che influenza le economie dei paesi sudamericani e anche quotato in borsa ed ha una sua valutazione oscillante a seconda delle vigenti norme di mercato internazionale. Ne sussegue tutta una serie di problematiche tra le quali la lotta che il cosiddetto commercio “equo e solidale” sta facendo da un pò di anni a questa parte e che consiste nel far giungere il ricavato delle vendite direttamente ai produttori e ai coltivatori, senza passare per le grandi multinazionali. Insomma, favorire le popolazioni sfruttate che hanno come sola fonte di sostentamento la coltivazione e la lavorazione di questo genere di prodotti. Ma questo è un altro argomento che andrebbe trattato in sede appropriata. Concentriamoci piuttosto sulla lavorazione. Il chicco, come già detto, non è pronto subito all’uso ma va passato attraverso tutta una serie di procedimenti in cui, quello più importante è la cosiddetta torrefazione. I chicci vengono setacciati e contemporaneamente riscaldati da un soffio di aria calda che li rende più scuri, più secchi e consistenti. Questa fase è molto delicata e va perfezionata nel tempo; anche per questo ogni azienda di torrefazione possiede una sua ricetta segreta tramandata di generazione, la quale permette di avere una vastissima scelta nel mercato odierno. Ma una buon caffè non dipende solo dalla marca ma anche dalla varietà del frutto. Ne esistono in natura più di sessanta tipi, ma solo pochi sono idonei al raggiungimento di un buon prodotto. Tra essi ricordiamo la Arabica, la Robusta, la Liberica e la Excelsa, ciascuna con le proprie caratteristiche di forma, aroma e sapore. Concludendo, vogliamo sottolineare l’aspetto culturale e conviviale della “tazzina di caffè” nel corso della storia. Infatti, come dicevamo all’inizio, il caffè non è solo una bevanda energizzante ma soprattutto una occasione per stare insieme in compagnia, discutere, intrecciare rapporti sociali o anche per dimostrare affetto a chi si vuol bene. A Napoli specialmente, dove il caffè è vero e proprio culto, poeti, musicisti e scrittori hanno dedicato odi e interpretazioni cantate e musicate. Non ci dimentichiamo la canzone scritta da Pino Daniele “na tazzulella e’ cafè” che attraverso le sue parole descrive in pieno cosa rappresenta questa bevanda per il popolo napoletano. “Acconcia a bocca e’ chi non vò sapè”, cita una strofa riferendosi a chi che nella vita non prende mai posizione e perciò anzichè parlare preferisce tacere per sorseggiare un buon caffè. Non ci dimentichiamo poi del teatro in cui, la massima interpretazione ce l’ha lasciata il grande Eduardo De Filippo in “questi fantasmi”, in cui spiega il metodo corretto per preparare il caffè con l’antica moka napoletana, per intenderci quella cilindrica con due beccucci che va girata sottosopra. Si, perchè a Napoli è tradizione che la preparazione sia lenta e raccolta, come fosse appunto una preghiera, un atto di profonda fede e di rispetto quasi religioso. Anche in questo si vede la differenza tra i popoli. Attraverso la preparazione di un semplice caffè si può notare come la vita sia vissuta da un popolo anzichè da un altro, che invece preferisce il caffè più lungo, molto diluito e quasi acquoso e con poco sapore. Il caffè è insomma questo e molto altro ancora. Ma attenti a non esagerare in quanto, i medici raccomandano di non eccedere oltre le due dosi giornaliere per evitare tachicardie e stati di eccitazione nervosa.
a cura di Rosario De Luise