Più MANGIAMO I FRITTI, Più NE MANGEREMMO: TUTTA COLPA DEL METABOLISMO BIOLOGICO
Il Dipartimento Drug Discovery and Development dell’Istituto italiano di tecnologia, guidato dal Professore Daniele Piomelli, è autore di un importante studio sugli endocannabinoidi.
I ricercatori hanno identificato un sorprendente meccanismo biologico, che si è dimostrato essere alla base della difficoltà nello smettere di ingerire cibi ricchi di grassi.
Attraverso alcuni test effettuati, è stato evidenziato il ruolo fondamentale degli endocannabinoidi nel dar luogo a tale impulso. Questi, sono sostanze prodotte naturalmente dal corpo umano, così chiamati, in quanto il principio attivo della marijuna ne mima gli effetti, compreso il desiderio di cibo.
Si è osservato che solo i cibi grassi generano un segnale nella lingua che viene inviato al cervello e poi all’intestino. Qui il segnale stimola la produzione di due endocannabinoidi che causano la sensazione di desiderio, regolando il rilascio delle sostanze chimiche coinvolte nella fame e nella sazietà.
Il Professore Daniele Piomelli spiega: “L’esistenza di questo meccanismo è stata molto importante per l’adattamento e la sopravvivenza dei mammiferi, in quanto i cibi grassi rappresentano un’importante e primaria fonte di energia. Ma, oggi, non è più così, sia perché nell’ambiente in cui viviamo abbiamo a disposizione tutti i nutrienti di cui abbiamo bisogno, sia perché lo sforzo fisico a cui siamo sottoposti è molto minore rispetto al passato. Quindi, questo meccanismo, così necessario nel passato, è diventato causa di sovrappeso, obesità e patologie molto importanti, quali il diabete, la malattia coronarica e i tumori”.
E’ stato ulteriormente dimostrato che attraverso la somministrazione di un recettore, il bisogno di ingestione di grassi, diminuisce. Ciò ha un risvolto molto importante, infatti, sarebbe possibile inibire i recettori degli endocannabinoidi a livello locale nell’intestino, eliminando così gli effetti collaterali del loro blocco sul cervello, quali ansia e depressione.
«Oggi, le soluzioni contro all’obesità – continua il Professor Piomelli – non sono molte e, comunque, sono piuttosto invasive o hanno degli effetti collaterali decisamente importanti. Pensiamo, ad esempio, agli interventi “gastrorestrittivi”, con l’uso di un palloncino o di un anello, o alla prescrizione di farmaci anoressizzanti, quali l’amfetamina. La possibilità di inibire a livello locale, e non centrale, il desiderio di ingerire i grassi sarebbe un grandissimo passo avanti, con innumerevoli vantaggi per la salute del paziente».
A cura di Valeria Sorrentino.