I FANTASMI DI RANIERI
Non è stata una “fedele riproduzione”, quella che di “Questi fantasmi” ha messo in scena Massimo Ranieri. Eppure, checché se ne dica (in merito alle scelte ardue intraprese in quest’ultimo anno), non malvagio si presenta l’appuntamento telesivo, fissato in prima serata su Rai 1. Un Ranieri, ancora una volta regista, che perde e ritrova i panni del personaggio tra un atto e l’altro, prosegue in un nucleo scenografico e musicale che suscita curiosità: sarà, senza “forse”, per il magico contributo di Ennio Morricone, il cui commento musicale (come sempre d’altronde), si intesse magistralmente sulla trama. Ranieri interpreta Pasquale Lojacono, il protagonista. E’ affiancato da un bravissimo Ernesto Lama ( nei panni del portiere) il cui ruolo era ed è strettamente legato a Ugo D’alessio, (una delle pietre miliari della prosa teatrale partenopea) e per questo probabile bersaglio di critiche negative per l’attuale rapppresentazione che, senza nulla togliere alla sua bravura, si potrebbero riassumere e spiegare con un’espressione del genere :”Non è la stessa cosa!” Non sarebbe mai la stessa cosa neanche per il personaggio di Maria (moglie del protagonista) interpretata qui da Donatella Finocchiaro e, all’epoca dell’originale registrazione, fatta vivere da Elena Tilena o volendo indietreggiare ancor di più nel tempo, da Luisa Conte. Non “malvagio” perchè, di fatto, gli sforzi del regista si sono percepiti su personaggi come Carmela (sorella del portiere) interpretata da Ester Botta, le cui corde sembrano essere state smosse da Ranieri, e aver reso più di quanto ci si aspettasse; si possono, invece, considerare vani, per alcune particolari scene, nelle quali è prevista la figura del cognato dell’amante, qui Enzo De Caro, la cui identità appare poco consapevole e che in altre, sembra dare ragione al copione. Al contrario, Gianfranco Jannuzzo, si destreggia bene in quella che si definirebbe “nuova nota di regia” per cui veste ufficialmente i panni di un siciliano. Un quesito potrebbe essere :”Ma perché stravolgere?” La risposta potrebbere essere questa: giacchè si è stabilito che si debbano rappresentare opere di un tale livello drammaturgico (ricordiamo che lo stesso De Simone, perplesso sull’uso del dialetto eduardiano, da lui considerato borghese nonché causa del disfacimento di quello popolare che non a torto protegge, definisce “Questi fantasmi” emblema dell’attività autoriale di Eduardo), è inevitabile che si presentino due alternative : rappresentare fedelmente (correndo il rischio di fare il verso ) o tentare di sperimentare. E’ evidente che Ranieri abbia scelto la seconda molto coraggiosamente visto che il pubblico, come in ogni occasione, non riesce proprio ad abituarvisi.
La commedia . “Questi fantasmi” nasce, almeno come idea, nel 1930 con il titolo “Tutto per tutto”; viene messa in scena nel gennaio del 1946 all’Eliseo e avrebbe sostituito, stando alla lectio di Ferruccio Marotti, “Filumena Marturano”, nel caso in cui questa non avesse avuto successo. Non solo il successo arrivò per “Filumena”, ma anche per la prima, costituendo essa un’innovazione per l’allestimento scenografico (nuove figure in tal senso sono presenti, infatti, nella versione televisiva che tutti conoscono) e non per i contenuti, per il non velato legame con le storie leggendarie in cui il fantasma aleggia in antichi edifici cittadini addentrandosi nelle vite altrui. In realtà, ciò che poi è ben descritto nella trama, e cioè il tradimento, corrisponderebbe ad una storia vera: in casa di amici, Eduardo, dopo avere assistito ad una performance di prestidigitazione, discute in merito a fenomeni di simile matrice e raccoglie la confidenza di chi, nel tentativo di persuaderlo circa l’esistenza di fantasmi, gli dice che spesso, quando rincasa, vede una figura di uomo salutare e uscire e deve trattarsi per forza di un fantasma se la moglie, dopo esserselo trovato davanti, dice di non aver visto niente! “Questi fantasmi”, come spesso accade per il prodigio intellettuale che caratterizza Eduardo per tutta una vita, oltrepassa i confini: raggiunge Parigi; qui attori di gran fama lo osservavano minuziosamente e, approfittando del fatto che il Maestro non conoscesse il francese, reclamavano, per quanto possibile, ulteriori spiegazioni, proprio per attingere, per essere coinvolti e travolti dal genio. Come si può essere in disaccordo col pubblico? Come si può non avvertire l’assenza della sua voce, del suo registro? Come ci si può abituare non traumaticamente alle “nuove rappresentazioni”?
Francesca Morgante