Ancora una volta pagano i soliti noti. Nessun intervento drastico sui privilegi
Essere equi nell’emergenza è difficile ma non impossibile. Occorrono segnali precisi di cambiamento per far sperare e non essere omologati ai governi politici con i loro vincoli elettorali
“Le leggi sono ragnatele che le mosche grosse sfondano, mentre le piccole ci restano impigliate”. Lo scriveva un po’ di anni fa Honoré de Balzac (1799-1850), scrittore francese. La sensazione che si prova nell’apprendere le misure che il governo Monti ha varato è che le ”mosche grosse” anche stavolta la faranno franca. Restano i ”soliti noti” di cui si sa tutto, anche di quant’aria respirano. Saranno loro a soffrire e pagare ed a salvare soprattutto i ”grossi”, che potranno continuare a volare sugli altri con i loro privilegi da furbi. L’obiezione scontata è che l’urgenza non consentiva troppe sofisticherie, ma bisognava andare con l’accetta. I mercati, l’Europa, l’Euro non potevano aspettare. Cosa questa certamente vera. Ma c’è un però. Il presidente del Consiglio, Monti, ha utilizzato con grande efficacia uno slogan per annunciare i suoi provvedimenti: ”equità, crescita e rigore”. Il rigore lo abbiamo visto. E’ tosto. E ci rendiamo conto che la situazione drammatica in cui ci siamo venuti a trovare forse non ammetteva altre vie d’uscita. Prendere, imporre tasse è semplice. Cosa diversa è essere giusti, equi. In periodi d’emergenza è difficile, ma non impossibile. Se non si può essere equanimi nell’immediatezza, si può provare a gettare le basi perché quello che non si è potuto realizzare oggi possa avvenire per lo meno domani. Segnali precisi di cambiamento per far sperare, per non essere omologati ai governi politici con i loro lacci e lacciuoli elettorali, non ne abbiamo visti. Certo, c’è il bel gesto di Monti che rinuncia al compenso da presidente del Consiglio e da ministro dell’Economia, ma sarebbe stato più efficace e confortante per l’opinione pubblica un provvedimento che avesse, per esempio, stabilito tetti alle remunerazioni degli amministratori regionali, alta burocrazia compresa, nonché regole certe per le consulenze milionarie che spesso la pubblica amministrazione dà, ignorando volutamente che al suo interno quelle professionalità le potrebbe trovare a costo zero. Avrebbe fatto ben sperare una riduzione dei rimborsi delle spese elettorali ai partiti, i più finanziati dell’intera Europa e non solo.
Il ridimensionamento delle funzioni politiche delle Province ed il trasferimento ai Comuni delle loro attuali competenze è cosa positiva. Il rischio però – in mancanza della cancellazione delle Province dall’ordinamento costituzionale – di confusione e di bracci di ferro tra i due enti è grande, a tutto scapito dei cittadini.
Le pensioni sono state toccate, eccome. Si è andati giù pesante come se tutti i mali fossero annidati là. Assestamenti erano necessari, ma in un’ottica di gradualità e, soprattutto, di riforma complessiva di tutto il sistema pensionistico italiano, casse previdenziali degli ordini professionali comprese. Le citazioni, i confronti sui sistemi pensionistici degli altri Paesi sono stati tirati in ballo anche a sproposito. Con un sol colpo vengono puniti quei lavoratori che si vedono aumentata l’età pensionabile e passano d’amblè al sistema contributivo, alla faccia dei diritti acquisiti.
Le imposte indirette imperverseranno ancora di più colpendo a destra e a manca soprattutto ”chi ha già dato”. La patrimoniale, con l’esclusione ovviamente della prima casa, non c’è. E il termine patrimoniale se ci fosse stato, nell’immaginario collettivo, avrebbe fatto il paio con le pensioni. Avrebbe dato l’idea palpabile che chi più ha, più è giusto che contribuisca al risanamento dei conti in rosso dello Stato. Insomma, un equilibrio tra ceti sociali; tra ”mosche piccole” e ”mosche grosse”. Una questione, appunto, di giustizia sociale.
C’è poi la crescita. Invocarla purtroppo non basta. C’è bisogno di un progetto complessivo per il Paese. Un accenno per lo meno. Gli incentivi alle imprese vanno pur bene. Ma forse ci voleva più coraggio. Il Mezzogiorno con i suoi atavici problemi, ma anche con le sue potenzialità, aveva bisogno di un segnale vero che gli consentisse di non rimanere paralizzato, tra l’altro, sotto il peso di una disoccupazione giovanile da capogiro; sempre più in balia di un anti-stato rapace e scissionista. Già si pensa ad una seconda manovra. Ben venga se essa riuscirà a colmare i vuoti che il primo atto del governo Monti non è riuscito ad inserire nello spartito che pur aveva per titolo: ”equità, crescita e rigore”.
Elia Fiorillo