OLIO DI OLIVA, LE ANNUNCIAZIONI DISINFORMANTI CHE DANNEGGIANO L’ECONOMIA NAZIONALE
C’è una vecchia legge della pubblicità che vieta di denigrare il prodotto del concorrente. Esaltare certo le qualità della propria mercanzia, ma astenersi dallo sparare a zero sugli altri prodotti similari. Non perché non è politically correct. La correttezza non c’entra. L’interesse invece si. Nel breve periodo si può pur portare a casa un vantaggio, ma sul medio lungo periodo quello che resta è la denigrazione. Il consumatore non ricorderà più quale prodotto era superiore all’altro. Terrà a mente l’elencazione dei difetti, delle storture denunziate, facendo di tutt’erba un fascio. Insomma, l’esaltazione sarà momentanea con un boomerang di ritorno micidiale.
Un’altra regola basilare del giornalismo, per evitare d’informare male il lettore, è quella dell’analisi delle fonti. Guai a fidarsi sempre e comunque dello stesso informatore. Anche quando, o meglio proprio quando, è leader nel suo settore. Il rischio che si corre è di rifilare parti di verità interessate, che più che aiutare a comprendere la questione l’ intorbidano. Il contraddittorio, con il giornalista in posizione di terzietà, è il miglior strumento per informare. Specie quando si pretende di fare inchieste giornalistiche.
Ho fatto questa premessa perché ultimamente sono subissato da cattive notizie che vengono dall’estero – India, Cina, Russia Stati Uniti, Canada – e riprendono, sintetizzando in modo assurdo, le posizioni maldestramente espresse in un’inchiesta del giornale “La Repubblica” sull’olio di oliva, dal titolo: “La mafia dell’olio”. Nell’assembramento forzato di dati e tesi, in cui si combinano comportamenti produttivi criminali (ad esempio olio deodorato), con pratiche commerciali corrette, ne esce fuori un quadro – dal mio punto di vista – non veritiero e soprattutto fuorviante. Se una grande industria italiana o un semplice confezionatore produce, perché le leggi italiane e comunitarie lo consentono, miscele di olio proveniente dai paesi dell’Unione Europea o da altre parti del mondo, non è reato. E’ reato, che va perseguito con determinazione, se quella miscela di oli comunitari o extra comunitari va venduta come se le olive fossero d’origine italiana. Ma al di là di una serie di dati errati che l’articolo contiene, per esempio sui prezzi (bastava che l’articolista andasse a leggere il bollettino Unaprol per convincersi dell’errore), resta il fatto che i danni d’immagine all’economia del nostro paese sono enormi. Non a caso il Capo dell’Ufficio Economico e Commerciale dell’Ambasciata d’Italia a Mosca, Leonardo Bencini, allarmatissimo trasmette, per una smentita, l’articolo pubblicato dal quotidiano economico russo RBK DAILY (pag. 4 del 27 dicembre 2011) dal titolo: “Gli italiani diluiscono l’olio d’oliva con quello per i motori”. Sommario:”Gli investigatori hanno valutato il mercato del prodotto adulterato a 5 miliardi di Euro. L’immagine , famoso in tutto il mondo, è minacciata. Secondo i dati preliminari degli organi investigativi italiani, nell’80% dei casi si tratta di grossolane adulterazioni. Non è difficile spiegare la tentazione dei criminali, poiché i volumi di questo mercato ammontano a miliardi di Euro”.
Forse un po’ tutti ci dovremmo dare una regolata. Sembra proprio che più si appare sui giornali con notizie spesso roboanti ed infondate e più si ritiene di aver fatto bene il proprio mestiere di sindacalista o di politico. La dichiarazione giornalistica ad effetto spesso serve come surrogato per stare in campo avendo snobbato, o non ritenendo importanti, i tanti eventi a livello nazionale, comunitario o mondiale dove si formano orientamenti, si assumono posizioni e dove, quindi, non si può mancare. Ma gli italiani, si sa, difronte agli impegni esteri ed alle assunzioni di responsabilità sono riluttanti perché c’è da lavorare senza ritorni, specialmente di visibilità interna.
Sparare nel mucchio, come nel caso in questione, serve solo a fare karakiri. Confusione, e ad alzare polveroni che coprono proprio i furbi che nel settore ci sono e che vanno combattuti con “scienza, coscienza e volontà” da qualsiasi parte essi siano, sul fronte industriale, agricolo o commerciale.
Cosa più faticosa è impegnarsi in organismi interprofessionali – o in consorzi di tutela – dove sono rappresentati tutti i componenti della filiera agricola-alimentare. Certo, il lavoro è difficile, il confronto durissimo. Ma se l’obiettivo è competere con le altre realtà produttive mondiali, paesi emergenti in primis, allora l’unica via non può essere che questa. Se, invece, l’obiettivo è strettamente personale o di bottega, si continui ad esercitare leadership localistiche, come se il mondo non fosse cambiato negli ultimi vent’anni; come se la globalizzazione fosse qualcosa che non riguarda l’agricoltura italiana. Si continui così, ogni volta trovandosi un nemico da combattere e non un possibile alleato da convincere sulla bontà delle proprie posizioni. Ma in questo caso c’è bisogno di lavoro, d’idee, di guardare anche al di dentro della propria realtà e dover ammettere che di errori ne sono stati fatti a go go. Meglio rimaner soli ed ogni mattina, dopo una seduta rigenerante di training autogeno, dove ci siamo ripetuti di essere i più bravi, giù a trovar nemici da…abbattere. Se poi rompiamo altro, pazienza.
Conoscendo la sensibilità ed il rigore del ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Mario Catania, su questioni così delicate, crediamo che immediatamente convochi un tavolo di tutte le componenti dell’olivicoltura, unitamente agli organismi di controllo del Mipaaf, ma anche delle forze di polizia, per valutare con obiettività la situazione e le azioni da prendere se ci troviamo, come un qualificato ed informato esponente sindacale ha sostenuto, di fronte all’agro-mafia dell’olio, “da combattere anche con il 416 bis”.
A cura di Elia Fiorillo, presidente Unasco e Consorzio di garanzia dell’extravergine di qualità.