L’inquinamento risolto da un fungo?
Viviamo nell’Era della Plastica, questa è l’espressione utilizzata dalla seconda metà del novecento. La produzione della plastica è di circa 200 milioni di tonnellate l’anno, ed è in continuo aumento. Sono noti i danni ambientali che tale materiale provoca quando non è ben smaltito attraverso il riciclaggio. La plastica, infatti, non può essere interrata in discariche o incenerita, in quanto, bruciando, produce gas tossici, inquinamento termico e non è un materiale degradabile, se non in centinaia di anni. Ma se questo problema potesse essere risolto da un fungo?
Nel 2008, durante l’annuale viaggio tenuto dal corso Rainforest Expedition Laboratory del docente di biochimica molecolare Scott Strobel, gli studenti dell’Università di Yale si sono recati nella foresta Amazzonica per raccogliere dei campioni da analizzare una volta tornati in sede.
Due studenti, però, sono stati in grado di scoprire un caso, unico fino ad oggi, di un fungo “salva-ambiente”. Pria Anand, il primo, ha potuto osservare come il campione avviasse una reazione di degradazione a contatto con la plastica. Il secondo, Jonathan Russel, si è trovato di fronte ad un organismo capace di vivere senza ossigeno, cibandosi solo di poliuretano, che non è solo un componente della plastica, ma anche di molti altri oggetti che ritroviamo nella vita di tutti i giorni: scarpe, giocattoli, materassi e altri. La situazione anaerobica descritta nel secondo caso, combacia con quella presente sul fondo delle discariche. Il processo svolto da questo tipo di fungo, potrebbe ripulire il suolo e purificare l’ambiente.
Funghi e batteri già si occupano del risanamento dell’ambiente ma questo fungo è un’assoluta novità d’impatto centinaia di volte maggiore, quanti sono gli anni che servono per degradare la plastica. Il problema sorge nel trovare un modo per diffondere il fungo a livello mondiale e in una modalità facilmente applicabile. Questi processi, purtroppo, richiedono alcuni anni, ma è un sacrificio sopportabile, se si pensa che finalmente, per l’azione di un organismo apparentemente così semplice, gran parte dell’inquinamento mondiale sarebbe risolto. La bellezza di tale scoperta, sta nel fatto che la natura stessa ha fornito uno strumento di guarigione e recupero a un problema causato unicamente dall’uomo.
Nel mezzo della Natura più selvaggia cresce un fungo che andrebbe ghiotto del materiale che potremmo offrirgli nelle nostre città più popolose ed inquinate. Ovviamente noi lo attendiamo a braccia aperte, nella speranza che nel porlo in un ambiente ideale per il proprio sostentamento, esso ci ripaghi rendendo il nostro ambiente migliore.
Sara Falcone