AltaRoma: chiude la kermesse con un bilancio positivo
Altaroma è fatta. Ora bisogna fare gli italiani. Perché molti giornalisti nostrani hanno ancora la puzza sotto il naso e di Roma non vogliono sentire parlare. E invece la fashion week sotto l’egida di Silvia Venturini Fendi rappresenta un momento fondamentale per tutto il sistema moda. La conferma arriva dall’edizione più sofferta, quella che il mancato appoggio del Comune minacciava di mandare all’aria. Il sostegno è arrivato non solo dalla Regione, ma da tutti coloro che nel tempo hanno scoperto il valore e la richezza dell’appuntamento capitolino. Un’occasione unica di confronto tra gli addetti ai lavori, agevolata da un’accoglienza sempre generosa e da un’atmosfera familiare che spesso suscita amicizie e stimola sodalizi professionali. Poco importa, poi, se la tensostruttura costruita accanto all’Auditorium è sembrata una passerella oltraggiosa ai seminatori di zizzania e i posti a sedere si sono ridotti per esigenze di spazio. La prima, bellissima novità è proprio il cambio di sede. Al MAXXI non arriva la nostalgia dei palazzi da cartolina e di Borgo Santo Spirito. Si respira l’aria elettrizzante del museo d’arte contemporanea e ci si sintonizza meglio sul nuovo. E sul nuovo bisogna puntare, valorizzando la piazza romana come una vetrina fondamentale per i giovani designer. Loro, in sinergia con i veterani degli atelier, potrebbero imparare molto: il taglio perfetto, la costruzione senza sbavature, la conoscenza dei tessuti e dei materiali più nobili della nostra tradizione. Magari con l’appoggio di case come Fendi, Gucci, Valentino e Bulgari, il cui ruolo di mediazione sarebbe importante e auspicabile. Come ha ricordato Maria Luisa Frisa, curatrice con Stefano Tonchi della retrospettiva Bellissima. L’Italia dell’alta moda 1945-1968, «Il successo del nostro modo di fare moda sta nell’intelligenza industriale che si mette al servizio della creatività e della sperimentazione». E affonda le sue radici proprio a Roma, prima ancora che Firenze e Milano consolidassero il miracolo del prêt-à-porter italiano. Tre città, tre poli di creazione che non possono permettersi irresponsabili campanilismi ma che devono rafforzarsi in una coralità di progetti e visione a tutto tondo.