Amicizia e droga? Due concetti più vicini di quanto si possa pensare!
A volte le ricerche scientifiche possono ricevere impulso dalle fonti più inaspettate: è infatti partita da Facebook la ricerca di due scienziati di Oxford, Robin Dunbar e Anna Machin, volta a dimostrare che l’amicizia produce gli stessi effetti di una droga. I due antropologi hanno infatti documentato che il neurotrasmettitore alla base dei rapporti di amicizia è un oppioide assimilabile a quelli considerati stupefacenti, e sarebbe dunque per questo che a volte ne diventiamo addirittura dipendenti. L’amicizia è un sentimento tipicamente umano, forte e duratura, nonostante non sia ispirata dall’ancestrale istinto di perpetuazione della specie.
“C’è un meccanismo nel nostro cervello che è separato dagli stimoli sessuali o dal legame fra genitori e figli. Si occupa di facilitare e mantenere legami meno intensi ma più stabili”, affermano i due scienziati sulla rivista neuroscientifica “Behaviour”. Il sentimento dell’amicizia, presente in misura minore anche nei primati, è si è comunque sviluppato attraverso la stessa evoluzione umana, e i suoi neurotrasmettitori sono le endorfine, le stesse sostanze (classificabili come oppioidi endogeni) che il nostro cervello rilascia anche dopo attività fisica, dopo un bacio o mangiando cacao, dotate di proprietà analgesiche e fisiologiche simili a quelle della morfina e dell’oppio, ma con portata più ampia, apportandoci una sensazione di benessere. Purtroppo lo studio di queste sostanze risulta complicato, proprio in virtù della dipendenza da essi provocata, che ne rende impossibile la somministrazione per scopi sperimentali. Gli antropologi inglesi hanno inoltre scoperto che l’amicizia è un sentimento talmente pregiato da non poter essere esteso a più di 150 persone, mentre le amicizia più “strette” sono limitate a 5, in particolare nel caso in cui non si abbiano social network su cui fare affidamento per frequentare più persone contemporaneamente. “Il numero di persone con cui riusciamo a mantenere un certo livello di intimità è limitata dalla dimensione del nostro cervello: e dunque dalla nostra capacità di gestire questi rapporti nella nostra mente”, spiega Dunbar. Un’altra ricerca, condotta dal Pew Research Center di Washington e volta a dimostrare che le relazioni che si coltivano attraverso i social network non intaccano le relazioni reali, ha documentato come chi frequenta i social network tenda a stringere legami di amicizia più stretti anche al di fuori della vita “virtuale”: infatti, chi ha un profilo su Facebook avrebbe circa il 9% in più di legami stretti rispetto a chi non lo possiede.
Germana de Angelis