ARRESTATE E PICCHIATE : LE DONNE IN ARABIA SAUDITA NON POSSONO NEMMENO GUIDARE.
Si chiama Manal al Sherif , 32 anni vive in Arabia Saudita ed il suo nome ha già fatto il giro del mondo su youtube e face book , per aver pubblicato un video di lei stessa al volante, visto da mezzo milione di utenti. Colpevole di aver violato il divieto di guida per le donne, che vige nel suo Paese e accusata di avere incoraggiato altre ragazze a seguirne l’esempio, è stata arrestata e rilasciata solo dopo avere firmato la promessa di non mettersi più alla guida. Manal esperta di information technology presso la società nazionale di estrazione petrolifera, l’Aramco, ha preso la patente negli Stati Uniti ed in effetti in Arabia Saudita non esiste una legge che vieta alle donne di guidare. Per circolare, tuttavia, occorre la patente e questa non viene rilasciata alle donne. E’ su questa palese contraddizione che si basa la protesta promossa dalla campagna online di attivismo femminile “Women2Drive”, volta a garantire libertà alle donne, con l’obiettivo di convincere le autorità a revocare il divieto di guida per il sesso femminile: il prossimo 17 giugno, una moltitudine di madri, figlie, giovani, adulte ed anziane si metteranno alla guida di un’auto per manifestare. La pagina creata su face book si intitola: “Insegnami a guidare così che possa proteggermi” .
«Vogliamo guidare per accompagnare i nostri figli a scuola. Vogliamo che il regno saudita rilasci la patente anche alle donne, come in tutti gli altri paesi al mondo. Vogliamo vivere come qualsiasi altro cittadino senza essere umiliate ogni giorno dalla dipendenza di un autista per i nostri spostamenti», questo è quanto si leggeva da un commento di una donna araba sulla pagina del social network . Oltre 12 mila persone si sono mostrate interessate alla causa, ma la pagina sembra sia stata prontamente rimossa.
«Non vi è alcuna legge che vieta alle donne di guidare in Arabia Saudita» – ha detto Maha Taher, un’attivista che sta collaborando alla campagna – Manal è un modello per molte persone e il suo arresto provocherà indignazione tra i sostenitori».
Il divieto arabo obbliga le famiglie abbienti a spendere circa 400 dollari al mese per avere un autista. Quelle che non possono permetterselo devono contare sui parenti maschi per accompagnare le donne a lavoro. Ma anche per lavorare, le donne necessitano di un permesso scritto e firmato da un tutore maschio. E come se non bastasse le regole dell’Islam sunnita impongono che la polizia pattugli rigorosamente le strade per garantire che, in pubblico, le donne restino separate dagli uomini, la cui risposta alla protesta femminile non si è fatta attendere. Sempre su Face book è stata infatti lanciata la Campagna dell’ Iqal , che invita ad utilizzare la tradizionale corda atta a coprire il capo, come oggetto per vere e proprie pene corporali da infliggere sulle donne che vogliono guidare.
“Nessuna legge islamica proibisce alle donne di guidare,risponde Manal. Il divieto è frutto del regime ultraconservatore. Ma la campagna dell’iqal dimostra come questi atteggiamenti non derivino solo dall’esistenza di un regime, ma come la mentalità maschilista sia radicata nella società”.
Quando si leggono storie di donne arabe, l’incredulità è una reazione inevitabile per una donna occidentale. Queste sono storie di dolore ed indignazione , per le quali sarebbe troppo semplice e scontato trovare una giustificazione nei retaggi culturali, nella mentalità, le tradizioni o i valori, perché non esistono attenuanti contro i diritti fondamentali, non esistono alibi contro la libertà individuale, né motivazioni valide che privino una donna di vivere la propria femminilità in piena autonomia ed indipendenza. Esistono le leggi ? Beh,sono leggi sbagliate. La formula “dura lex sed lex” trova riscontro solo nelle società intellettualmente arretrate, schiave di dettami ridicolmente maschilisti e spaventosamente ignoranti.
E non c’è alcun rischio di sembrare intolleranti o incapaci di comprendere le regole di una civiltà differente nel dirlo , poiché non è civile considerare una donna una proprietà, un possedimento di cui farne ciò che si vuole. Non è civile picchiarla, stuprarla ed obbligarla ad obbedire, per vantare una delirante e disillusa superiorità di genere, paradigma irreprensibile di un esaltato e vanitoso potere, che affonda le sue radici in un’idea malsana di società, emaciata e deformata.
Ma la testimonianza di Manal lascia presagire che finalmente si respira nell’aria una primavera di cambiamento e le proteste delle donne arabe sono sintomatiche di un’atomica ribellione, un’ impetuosa resurrezione che non resterà vox clamantis in deserto, perché quando soffia forte il vento della libertà e si prende coscienza dei propri diritti, non c’è repressione fisica o mentale che tenga : la paura tramuta in coraggio violentissimo e dirompente.
A cura di Flavia Sorrentino