Berlusconi, cambio di rotta a 180 gradi
Lo aveva ripetuto in tutte le salse con un leit motiv noioso: “Nessun governo tecnico. Dopo di me le urne.” E giù considerazioni sulla democrazia e sulla volontà popolare che non poteva essere stravolta. Il giro a 180 gradi per appoggiare il prof. Monti il Cavaliere l’ha maturato certo non a cuor leggero. Con mezzo Pdl in rivolta, con Bossi schierato all’opposizione e con lui stesso umiliato per aver dovuto lasciare repentinamente palazzo Chigi, le ragioni del sostegno a Monti dovevano essere solide. Certo, “il bene supremo del Paese” al di là ed al di sopra di tutto, ma anche il bene del Pdl e quello del suo capo carismatico. Indro Montanelli, che ben conosceva quello che diventerà poi il Caimano, l’ha sempre considerato un bugiardo inveterato, al punto da convincersi in perfetta buona fede delle bugie che andava ripetendo, ma anche un tempista fuori dal comune, con un grande fiuto.
Se tirava la corda, rimanendo nella posizione del voto ad oltranza, la cosa che poteva capitare a Berlusconi era l’addebito di tutto l’addebitabile. Aveva provato a resistere, ma tutto pareva crollasse: i titoli di stato, ma anche le azioni delle sue società. Meglio allora tirarsi “di lato” e schivare la valanga che stava colpendo l’eurozona, certo che il suo allontanamento avrebbe dimostrato la sua estraneità al disastro in atto. Se avesse continuato a puntare sulle elezione anticipate ed avesse vinto la battaglia, il rischio del tonfo elettorale sarebbe stato inevitabile. Bisognava allora prendere tempo. Non dare però ai suoi avversari, Pd in primo luogo, nessun vantaggio elettorale. Appoggiando Monti depotenziava il Pd e l’opposizione tutta in caso di risultati positivi ottenuti dal professore. Avrebbe sempre potuto sostenere che solo la sua responsabilità aveva consentito il miracolo, prendendosi il cinquanta per cento del merito. In caso poi di flop di Monti, giù a tirar dall’armadio tutte le cose che stava per fare per bloccare la crisi e che la cieca opposizione non gli aveva consentito di realizzare.
Nei ragionamenti del Cavaliere c’è un’incognita pericolosa. Quella cioè di un Monti che avesse preso gusto a fare il presidente del Consiglio, specialmente se aiutato da un positivo vento in poppa. Già l’opposizione in tutti i modi aveva provato ad inscatolare il professore con l’etichetta di sinistra. A poco erano valse le puntualizzazioni sul fatto che chi lo aveva spedito per prima a Bruxelles come Commissario era stato proprio Silvio da Arcore. Insomma, il rischio per Berlusconi era di trovarsi alle elezioni del 2013 un presidente del Consiglio candidato come leader dell’opposizione. Idea non peregrina tenuto conto dei possibili candidati di “sinistra”. Bersani non possiede un grande appeal tra gli eventuali alleati, Di Pietro e Vendola, alla premierschip. Certo il Pd non potrà mai consentire che il candidato premier per la minoranza possa essere altri che non uno che esce dal suo mazzo. Tranne nel caso di Mario Monti, proprio per come si è evoluta la sua leadership. Ed è proprio per ciò che il Cavaliere, in cambio di una promessa di non candidatura fattagli da Monti alla presenza di Giorgio Napolitano, ha dato il suo placet al nuovo governo. Ma uno navigato come Berlusconi sa che certe promesse, sia pur fatte in buona fede, a volte non si possono mantenere. Perché il contesto politico può cambiare; per mille altre ragioni oggi non prevedibili. Non va dimenticato che in campo ci sarà fra poco anche la scadenza del mandato dell’attuale Capo dello Stato.
Nei pensieri di Silvio al primo posto c’è la prossima campagna elettorale che, come ben si può comprendere, è già iniziata in modo strisciante. E, ovviamente, la politica delle alleanze non è certo un aspetto secondario per la costruzione del futuro. La squadra vincente non si cambia, e quindi il capo del Pdl riproverà a corteggiare il Senatùr. Ma c’è anche da guardarsi intorno. Che significato attribuire alle uscite di Casini di presunte alleanze con Bossi, senza Fini? Elucubrazioni senza fondamento o provocazioni per alzare il tiro? Certo un’alleanza strategica con Casini potrebbe essere vincente. Ma qual è il prezzo da pagare? Palazzo Chigi? E chi andrà al Quirinale? Le “prove tecniche di trasmissione” saranno intensificate nei prossimi mesi.
Elia Fiorillo