Big Eyes
L’ultima pellicola diretta da Tim Burton arriva nelle sale italiane e stupisce sia i fan sia la critica portando sullo schermo una storia vera, quella della pittrice Margaret Keane, avvenuta negli anni cinquanta in America. In effetti, il regista nelle ultime produzioni si era imbrigliato in un genere che minacciava di soffocarne la creatività, mentre con Big Eyes dà prova di volersi rimettere in gioco realizzando un film biografico, il secondo della sua produzione tenendo conto di Ed Wood (1994).
A fare da protagonisti della scena, la cui fotografia è curata fin nei minimi dettagli, sono Amy Adams, con un’interpretazione superba -il film le è valso il Golden Globes 2015 come migliore attrice – e Christoph Waltz, che sembra convincere un po’ meno.
“Gli anni ’50 sono meravigliosi, se sei un uomo”, sono queste le prime parole del film. E, in effetti, per Margaret, che ha lasciato il marito e ha portato via con sé la figlia, la nuova vita non sembra facile. Se sei una donna, per di più sola, vieni scrutata dall’alto in basso continuamente. Inoltre Margaret non sa vendere la sua arte, non sa neanche tessere le sue lodi. Tuttavia, possiede la sincerità autentica dell’ispirazione, che si concretizza in bambini dagli occhi grandi. Walter Keane, invece, è impetuoso, affascinante e dotato di una parlantina molto persuasiva. I due si innamorano e si sposano subito. Il loro sogno è di poter vivere grazie alla loro arte e, contro ogni aspettativa, si avvera, anche se si basa su una menzogna. Infatti, Walter -inizialmente per equivoco, poi per vanità- si prende il merito delle opere della moglie, che riscuotono sempre più successo. Esplode un vero e proprio fenomeno Keane, la cui arte diviene man mano più commerciale per incontrare i favori delle masse. Margaret, umiliata, trascorre ore interminabili chiusa nel suo studio a dipingere quadri che non sente più come suoi, forzando un processo creativo che somiglia sempre più a una catena di montaggio.
Il film sembra, dunque, portare alla luce un’amara riflessione di Burton sulla condizione dell’arte – quella di Margaret e la sua-, sempre più in preda alle richieste del mercato e obbligata a sottostare al gusto predominante. Le gallerie in voga respingono brutalmente i quadri di Margaret, non interrogandosi neppure sullo stato d’animo che celano quegli occhi così grandi. E questi occhi così innocenti e sinceri si caricano di storie e di significati ulteriori con lo scorrere della pellicola, ma, in realtà, non sono che bugie. Eppure, quante volte, una bugia rende degno di nota e accessibile ai più qualcosa il cui significato intimo non dipende da tanti orpelli? Difatti, la gente viene incantata da queste bugie precostituite, mentre Margaret si ritrova imbrigliata in un’arte aliena da sensazioni autentiche. I suoi bambini dagli occhi grandi non rappresentano più il suo mondo interiore e, quindi, i loro occhi non riescono a trasmettere più nulla.
Burton sembra orientato in una nuova direzione, alla ricerca di uno stile che sia principalmente innovativo e, come primo tentativo, si deve riconoscere che ha fatto centro.
A cura di Mariaconcetta Pentangelo