DIARIO DI UN OSTE DI SIGHISOARA
Quella che segue sembra la trama di un film ed invece è la storia di un oste di Sighisoara, paesino rumeno dalle poche anime. Dopo aver riconosciuto in me un connazionale, tra un affettato locale e del buon vino campagnolo, si apre e inizia a raccontarmi la sua vita triste e travagliata, accettando di venire intervistato al patto che usassi poi, per nominarlo, uno pseudonimo (lo chiameremo Eugenio). Ne viene fuori una storia in stile “odi et amo” catulliana; un racconto, non di una star dello spettacolo o di una persona famosa, ma di un uomo qualunque; ma senza dubbio da annoverare. Ed eccoci catapultati a Venezia, dai grandi pittori, dai palazzi riflessi nell’acqua; una famiglia, un lavoro da impiegato nelle poste, una vita trascorsa tra divertimenti vari, affari; tutto ad un tratto poi risucchiati come in un’altra dimensione. Una realtà cosi sfacciatamente diversa da risultare più attraente di quella precedentemente vissuta. La cornice cui sto accennando è il racconto di un uomo, che mantenendo pur sempre le sue radici venete, con assoluta volontà, ha deciso improvvisamente – consapevolmente – di abbandonare vecchie sensazioni, profumi, ed emozioni che non trovava più come i primi tempi. Eugenio ha 87 anni, attualmente vive in Romania, precisamente nella Transilvania del sud, in un tipico paesello –Sighisoara- dal tocco interamente medievale, per estetica e per alcune usanze che riserva il luogo. Lui, un uomo pacato, affabile, considerato dai rumeni del paese un “uomo molto tranquillo e senza macchie”, gode della stima di quei pochi abitanti che vi abitano. Eugenio, porta con se la responsabilità di una scelta che lo ha portato ad un equilibrio interiore che solo in questo luogo si riesce ad ottenere. Eppure, dice, in Italia la sua vita non era da meno in quanto a carriera lavorativa, sentimentale etc. Di svaghi – dice –“fin troppi: non potevo minimamente lamentarmene”. Eugenio proviene da una famiglia ricca, originaria di Piazza San Marco; i genitori sin da piccolo gli han fissato regole e principi del saper vivere nobile, crescendo indi con una rigida disciplina. Disciplina che diviene più flessibile col passare degli anni, dopo una repressione durata sino ai 37 anni, allorquando mette su famiglia e riesce senza il minimo sforzo a mantenerla durante gli anni successivi. Ed ecco dopo il susseguirsi di sequenziali anni di felicità misti a tristezza, che Eugenio “esplode”; dopo una telefonata ricevuta in sede di lavoro dalla mamma, che gli comunica il decesso improvviso del padre, inizia il suo crollo, la depressione. E via via, mese dopo mese, conscio della sua straziante sintomatologia, inizia a vedere una sola via di fuga; nel buio. Eugenio decide di acquistare un biglietto aereo di sola andata per la Romania. Difficile a capirsi inizialmente una scelta simile. C’ è da chiedersi: con tanti luoghi come mai proprio la Romania e perché, anzitutto, trasferirsi distaccandosi dalle sue origini natie? Proseguendo con il racconto pian piano si cela, parola dopo parola, un dolore, impotenza di parlare, silenzi che in Eugenio erano rumorosi, parlavano, stordivano. Il distacco da quella terra fu voluto in seguito ad un dramma che durante l’adolescenza e in età adulta gli ritornava come flashback frequente, annotato nel suo diario di vita; Orbene, un uomo che ricevette abusi dal proprio padre -per anni- non poteva che ridursi in quello stato. Ma è altrettanto lodevole il suo “rialzarsi”; ed ecco che il racconto procede su di un bivio, che dà vita a due strade cosi intime e parallele; da un lato il distacco dalla propria terra, dalla propria casa, per rimuovere dal subconscio le drammatiche scene di un’ infanzia anomala; dall’altro, però, il lato inquietante ma altresì affascinante della antica psiche umana: la scelta del luogo dove trasferirsi. Motivazione difficile ad intuirsi senza che Eugenio rivelasse la risposta, una verità sconcertante. Una scelta non casuale la sua, la Transilvania, Sighisoara, un piccolo presepe di case innevate per la maggior parte dell’anno, con una ferrovia che fino a qualche decennio fa computava anche un “treno a vapore” che oggi nella zona viene solo esposto come attrazione. Eugenio evidenzia queste caratteristiche, proprio le suddette; eppure il paesello ha tanto da offrire e tante peculiarità che gli stessi pochi abitanti (qualche migliaio) esaltano. E’ un segnale. Il padre era consueto regalare al piccolo Eugenio, ogni anno a Natale, giocattoli; in particolare treni a vapore che allegramente fluivano per le due stanze collegate reciprocamente dal padre: la matrimoniale e quella del pargolo. Inoltre il genitore, legato alle tradizioni presepiali, costruiva artigianalmente botteghe e casette destinate ai presepi. Ed ecco che paradossalmente Eugenio ha prima voluto il distacco dalla costante sofferenza, per poi consciamente far riaffiorare lo stesso dramma con un riavvicinamento a quelli che sono i ricordi che lo legavano al padre. Un racconto questo che si può definire bi-direzionale, basato su due piani che apparentemente mai potranno conciliarsi, eppure Eugenio ci ha dimostrato che forse non è proprio cosi.
Alessia Viviano