Diritto alla vita
Quando mancano i volontari, è lo Stato a trovarli. Ciò accade in Cina nell’ambito della donazione degli organi. Il ministro della Salute Huang Jiefu, ha affermato che la fonte principale di organi per i trapianti, sono i condannati a morte.
Il giustiziato appare più utile alla società da morto, piuttosto che da vivo. Questa è l’immagine trasmessa dallo Stato cinese. Un individuo condannato a morte, non ha diritto di decidere del suo corpo come della sua vita. Lo Stato trae le sue fonti di organi dalla parte della società che non ha più diritto a decidere per sè, in quanto, violando le leggi dello Stato, ha violato anche la libertà di quest’ultimo, e quindi ha rinunciato alla propria.
La Cina è il Paese con il maggior numero di esecuzioni capitali, circa 4000 ogni anno. Tale dato, però, non si può affermare con precisione, in quanto il numero annuale di esecuzioni è segreto. Queste informazioni provengono dagli studi delle associazioni non governative come Amnesty International.
Nel codice penale cinese, il numero di reati punibili con la pena capitale è considerevolmente alto: 68. D’altronde, per molti di essi, nella cultura Occidentale sarebbe inconcepibile una pena simile: pirateria informatica, gioco d’azzardo, contrabbando. Per non parlare dell’evasione fiscale, che condannerebbe gran parte dell’Italia a morte. La pena capitale, associata a questi reati, descrive una società molto rigida, forse troppo, in quanto condannando gli individui a morte, li giudica incapaci di reintegrarsi al suo interno. Rubare un auto è un reato che va assolutamente punito, ma sicuramente un individuo colpevole di tale azione può essere rieducato affinchè si integri e diventi parte attiva della società.
Un altro carattere che colpisce, è che il numero delle esecuzioni è segreto. La condanna a morte, negli Stati in cui è approvata, è considerata un esempio. Se un individuo ne vede un altro bruciarsi con un oggetto molto caldo, egli evita di toccarlo. Ma che esempio può nascere da qualcosa che avviene all’oscuro dallo sguardo dei cittadini? In Cina, per esempio, spesso le esecuzioni sono pubbliche e precedono festival o campagne anti-crimine, ma questo è un aspetto Orientale. Estendendo il discorso agli Stati Uniti, in cui 37 Stati approvano la pena capitale, l’esecuzione non è pubblica. Se davvero si crede nella pena di morte, allora l’esecuzione dovrebbe essere pubblica e i dati liberamente accessibili. Fino al secolo scorso, anche in alcuni Paesi dell’Occidente, le esecuzioni erano pubbliche. Ciò dimostrava una coerenza maggiore con la linea di pensiero che approvava la pena di morte. Forse si crede che nascondere l’esecuzione sia un gesto più moderno. In realtà questo non cambia la situazione. La violenza è punita con altra violenza. La morte appare come una giusta punizione.
Tralasciando le opinioni etiche sulla questione, è importante abbracciare tale argomento anche dal punto di vista istituzionale. Se davvero si applica la pena capitale, e quindi il cittadino cede il proprio diritto alla vita, lo Stato, riflettendo sulla società la rigidità delle proprie leggi, deve ricambiarla con la totale trasparenza. Quando ciò non avviene, il rispetto della rigorosità è univoco, in quanto tocca solo i cittadini ma non lo Stato.
Cesare Beccaria ha scritto “Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio“. L’Omicidio dello Stato diviene giustizia.
Sara Falcone