DISTROFIA DI DUCHENNE
Nostro malgrado sono presenti numerose patologie per le quali la ricerca ancora non conosce la cura: la Distrofia di Duchenne è una di queste. Si tratta di una tra le più frequenti e meglio conosciute tra le distrofie muscolari dell’infanzia. E’ stata scoperta ed analizzata per la prima volta nel 1861 dal neurologo francese Guillaume Benjamin-Amand Duchenne. Nel 1879 il neurologo britannico William Richard Gowers comprese che si manifestava soltanto nel sesso maschile. Infatti, colpisce esclusivamente tale sesso durante i primi anni di vita,costituendo il 50% di tutte le forme distrofiche. Eziologicamente si osserva una evidente predisposizione familiare, poiché la patologia è trasmessa come tratto recessivo legato al Cromosoma X. L’alterazione del Cromosoma X determina la mancata produzione di una proteina denominata distrofina. Tale deficienza conduce alla perdita delle proteine legate alla distrofina (DAPs). Con il progredire della malattia, si osservano modificazioni comuni a tutti i tipi di distrofia muscolare: perdita di fibre muscolari, aumento degli adipociti e fibrosi. Si verifica uno stato di ipertrofia, risultato dall’ingrossamento delle fibre sane rispetto alle fibre inutilizzate. La Distrofia di Duchenne di solito viene riconosciuta al terzo anno di vita, ma almeno la metà dei pazienti presenta segni della malattia prima che inizi la deambulazione. I primi evidenti segni sono rappresentati dall’incapacità di camminare o correre quando queste funzioni avrebbero già dovuto essere acquisite; oppure, una volta che queste vengano apprese, i bambini appaiono meno attivi della norma e cadono facilmente. Con l’avanzare del tempo aumentano le difficoltà a camminare, correre, salire le scale. I primi muscoli ad essere colpiti sono il quadricipite, l’ileopsoas ed i glutei. In seguito vengono colpiti anche i muscoli del cingolo scapolare e degli arti superiori. Nei primi stadi della malattia è progressivo l’ingrossamento dei polpacci e di altri muscoli, ma al termine, la maggior parte dei muscoli tende a ridursi di volume. Gli arti,solitamente flaccidi, con il progredire della malattia prevedono contratture conseguenti al loro mantenimento nella stessa posizione. I riflessi tendinei diminuiscono inizialmente per poi scomparire parallelamente alla perdita delle fibre muscolari. Le ossa diventano sottili e demineralizzate. Il cuore è colpito e possono apparire vari tipi di aritmia, ovvero difetti di conduzione elettrica dell’organo. In casi rari si osserva un ritardo mentale non progressivo. La morte è dovuta ad insufficienza respiratoria, infezioni polmonari o scompenso cardiaco. Dalla manifestazione dei primi sintomi, la morte avviene entro 10-15 anni ed in non più del 20-25% dei casi il paziente sopravvive oltre il venticinquesimo anno di vita. Non esiste alcun tipo di trattamento, fatta eccezione di interventi che mirano al recupero ed al mantenimento della motilità, con fisioterapia ed apparecchi ortopedici sino alla sedia a rotelle. La ricerca è stata condotta al fine di ridurre gli effetti dannosi di questa malattia. Ci auguriamo si possa presto trovare una terapia in grado di interrompere la degenerazione di tale patologia.
A cura di Valeria Sorrentino