Famiglia: nessun passo avanti concreto, per il cognome materno. Lontani anni luce da Europa
C’è un disegno di legge fermo, da ancor prima che Enrico Letta rassegnasse le dimissioni da presidente del Consiglio e nonostante ci sia una condanna pendente della corte di Strasburgo nei confronti dell’Italia. quello sull’introduzione del diritto al cognome materno per i figli. Il disegno di legge, licenziato dal Consiglio dei ministri il 10 gennaio non è ancora stato firmato dal presidente della Repubblica, passaggio obbligato prima della trasmissione alle Camere per la discussione. La firma non c’è e non sappiamo quando arriverà. Sul testo licenziato è al lavoro una commissione interministeriale dopo che è stato stoppato dalla viceministra al Lavoro con delega alle Pari opportunità Maria Cecilia Guerra. Poco dopo la conferenza stampa del 10 gennaio Guerra ha dichiarato: «Dal governo importante ok al diritto di dare ai figli cognome della madre. Lavoriamo anche per pari opportunità se manca accordo fra genitori». Infatti il testo dice che il cognome materno si aggiunge solo se c’è consenso di entrambi i coniugi. Manca la possibilità di dare entrambi i cognomi, in assenza del consenso, com’era nel testo entrato in Consiglio dei ministri. Infatti la viceministra Guerra assente dalla riunione del Consiglio (perché impegnata a rispondere a interpellanze urgenti alla Camera sui diritti delle persone Lgbt) non ha potuto tenere la linea. Così tutti d’accordo – tranne lei – il testo è uscito, prima che qualcuno si accorgesse che non rispettava le pari opportunità.
La commissione interministeriale, finora si è riunita due volte, l’ultima mercoledì scorso, per una prima comparazione della legislazione europea. È formata da due rappresentanti per ministero, Giustizia, Interni ed Esteri e presidenza del Consiglio, oltre a Pari opportunità e lavora a eventuali modifiche da introdurre una volta che il testo approderà alle Camere per la discussione. I problemi, sottolineano dalla commissione, ci sono: cosa fare per le coppie che hanno già un figlio? Il nuovo nato avrà un cognome diverso? La legge non può avere un effetto retroattivo e le nuove regole dovranno valere per tutti: coppie sposate, conviventi e figli adottati. Ma il percorso sembra ancora lungo e per ora bisognerà affidarsi alla solita procedura: richiesta in prefettura, spiegazione delle motivazioni per cui si vuole cambiare cognome, affissione pubblica della richiesta, attesa di trenta giorni per le eventuali opposizioni, infine accoglimento o rigetto della domanda, eventuale ricorso al Tar.
L’Italia si deve adeguare da decenni, già nel 1988 la Corte costituzionale si è espresse sul tema, la risposta, come nell’ultima sentenza della corte del 2006, fu sempre: deve intervenire il Parlamento, la materia è troppo complessa, non basta far decadere le norme esistenti. La Corte ha anche detto che c’è discriminazione far i sessi e fra i coniugi. Il Parlamento provò ad approvare la legge l’ultima volta nella passata legislatura. Si arrivò a un testo base in commissione Giustizia alla Camera, allora presieduta dall’avvocata Giulia Bongiorno ma il testo non andò avanti. Oggi, sono undici le proposte di legge parlamentari già depositate, e di tutti i partiti, tranne Lega, Fratelli d’Italia e M5s. La scorsa settimana sono state consegnate in Parlamento oltre 43 mila firme raccolte grazie al sito Change.org proprio per chiedere una legge. La presidente della Camera Laura Boldrini, alla promotrice dell’iniziativa Laura Cima ha detto: «È una battaglia che mi sento di sostenere, ho sempre pensato che fosse innaturale e ingiusto che una donna che fa un figlio non possa dargli il proprio nome, bisogna sensibilizzare i gruppi parlamentari per la calendarizzazione delle proposte di legge». E’ quello che Cima ha fatto, per ora senza risultati.