Giosuè Carducci
Nacque a Pietrasanta nel 1835. Fu attivamente impegnato nella politica e per i suoi ideali fu confinato anche perché fortemente influenzato dalla rivoluzione francese. Di indole irascibile e ribelle ma amante della natura e degli animali. La sua cagionevole salute spinsero il padre alla somministrazione del chinino, che gli procurò stati allucinatori. Potè approfondire le sue conoscenze su L’Iliade e L’Odissea e la storia della rivoluzione Francese, attraverso la biblioteca paterna. A causa della povertà familiare non potè frequentare scuole e quindi e fu istruito in Latino da un sacerdote a Bolgheri. E’ proprio in questo periodo che iniziò a scrivere i primi suoi versi: “La satira ad una donna”, “Canto all’Italia”, composte in terzine. Seguirono nel 1848 dei sonetti e di un racconto” La presa del castello di Bolgheri “ A causa di sue idee politiche si stabilì a Firenze. Acquisì attraverso gli studi nelle scuole dei Padri Scolopi la sua preparazione in campo letterario e retorico. Studiò i poeti classici e sentì fortemente la sua predisposizione al Romanticismo e fu fortemente affascinato da Foscolo e Leopardi. Nel 1853 si iscrisse alla facoltà di lettere e si dedicò totalmente agli studi alla Normale di Pisa. Era di temperamento irascibile soprattutto se i suoi amici lo deridevano parlandogli di Manzoni. Alla “Normale di Pisa” era obbligato ad ascoltare la Messa mattutina e recitare il Rosario, questo lo indusse a dei componimenti satirici: “Al beato Giovanni della Pace”, ironizzando sulle reliquie di un frate del ‘200. Pietro Troner fondatore del giornale “Letture di famiglia gli offrì lavoro e nel 1854. Non si dispensò con suo padre ad assistere coloro che avevano contratto il colera. Nel 1856 si laureò in filosofia e filologia e con dei suoi amici fiorentini dette vita ad un gruppo romantico. Era molto portato all’insegnamento ed ottenne la cattedra di retorica dove portò i suoi alunni allo studio di Virgilio, Tacito, Orazio e Dante, declassando invece quanto scritto dal Manzoni. Collaborò alle edizioni di Gaspero Barbera e lavorò alle satire e poesie minori di Vittorio Alfieri. Nel 1857 lo colpì il grave lutto della morte di suo fratello Dante che si era inferto una ferita al petto, scrisse per lui “In memoria di D.G. Collaborò al giornale “ Il Poliziano” che ben presto cessò la sua attività a causa di temi politici trattati. Successivamente accettò la nomina a greco del liro a Forteguerra di Pistoia. Nel 1860 accettò la cattedra di eloquenza italiana presso l’università di Bologna. Ebbe una relazione extraconiugale con Carolina Cristofori , donna colta sposa di un garibaldino della Spedizione dei Mille. Da questa relazione fu ispirato alla stesura delle “Barbare su l’Adda e alla Vittoria, “Bello ed unico pensier d’estatico vivo e reale”. Nacque anche un figlio che fu chiamato Gino Pica che venne ritenuto figlio del generale Garibaldino. Susseguì anche un’altra relazione extraconiugale con una scrittrice Annie Vivanti. Raggiunto il successo potè trasferirsi con la sua famiglia a Palazzo Rizzoli. Fu eletto deputato del Collegio Lugo di Romagna. Nacque la raccolta Rime Nuove le “Odi Barbare”. Nel 1878 rifiutò dalla Regina margherita di Savoia grande ammiratrice delle sue poesie la Croce al merito di Savoia. Nel 1879 fondò a Roma “Il Fanciullo della Domenica, Un anno dopo arrivò la sua nomina di senatore. Per ben due volte fu colpito da paralisi della mano destra che lo portò a scrivere con grande fatica e ad abbandonare l’insegnamento. Il suo pensiero politico fu finalizzato all’amore verso la patria, all’amore verso la vita e la natura e per la bellezza. Trattò temi sulla memoria, nostalgia per le speranze deluse verso un sentimento passato, la nemesi storica, teoria per la quale siano i discendenti a scontare le colpe dei tiranni. Fu influenzato dal Romanticismo e dal positivismo. Morì a causa di una cirrosi epatica. Riposa alla Certosa di Bologna.
(Luisa de Franchis)
Chi soffre non perde mai
Sai quante volte ho attraversato il dolore
quante volte avevo un vuoto dentro
ed uno strano magone che mi prendeva
come un pugno stretto nello stomaco
che quasi non mi faceva respirare.
Ed io a cercare di raccontare
tutti i pezzi di un puzzle
che insieme non ci voleva stare.
E quante volte quella spinta dentro
quella ferrea volontà di ricominciare
anche se non ce la facevo più a sopportare
quel cuore che sembrava scoppiare.
Mai fermarmi mi sono detta
ed andavo avanti
perché non ci devono essere rimpianti.
La mia forza ha alimentato la mia forza.
Io che ero un esile pensiero
dove tutto per me era mistero
e senza dire una parola
mi dicevo
adesso ce la faccio e ce la faccio ancora.
Toccare la sabbia e trovarla quasi invitante
e poi pensare che dopo
si può solo risalire.
La mia vita non è stata una sconfitta
perché a furia di tentare ce l’ho fatta.
Ed oggi rido guardando il mare
e con i miei occhi so spaziare.
La conquista più grande
è stato il capire
quanto per me è stato importante soffrire
perché alla fine non si perde mai.
(Luisa de Franchis)