I PARTITI, ER BATMAN FIORITO E LA VOGLIA DI NON CAMBIARE
A leggere i resoconti giornalistici della vicenda di “er Batman-Fiorito”, ex capo gruppo del Pdl alla Regione Lazio, viene in mente la famosa espressione di Francesco Ferrucci rivolta al condottiero Fabrizio Maramaldo nel 1530: “Vile, tu uccidi un uomo morto”. Con tutto il rispetto per Ferrucci che pronunciò la frase in circostanze ben diverse, l’identica citazione potrebbe riproporla Franco Fiorito alla politica. Non perché “er Batman” nella vicenda non abbia le sue precise responsabilità. Ma perché provare a scaricare su di lui “tutto e di più”, in un rito assolutorio orgiastico da parte dei partiti, non solo non è sul piano morale corretto, ma anche su quello politico. Nel senso che chi pensa che le parole di fuoco della governatrice Polverini, o le azioni all’ultimo secondo di aggiustamenti vari e riduzione di certi inqualificabili costi della politica possano cancellar tutto, si sbaglia di grosso.
La vicenda della Regione Lazio, ma in verità anche di altre Regioni sotto il mirino della Magistratura, fa tornare alla mente l’inizio del 1992 quando Bettino Caxi definì il presidente del Pio Albergo Trivulzio, l’ingegner Mario Chiesa, un “mariuolo” per aver intascato una tangente. L’allora segretario del PSI pensava che tutto si sarebbe fermato scaricando, appunto, il soggetto trovato con le mani nel sacco. Non fu così. Con i suoi pregi e difetti nacque da quel caso la stagione di “Mani pulite”.
Dopo fatti eclatanti come quello della Regione Lazio si scatena una furia moralizzatrice da parte dei partiti che sarebbe stata molto più significativa ed educativa per l’opinione pubblica se fosse partita prima del fattaccio. La domanda che il cittadino si pone su per giù è questa: “ma è possibile che nessuno sapesse, udisse, vedesse?”. Ovviamente non dei conti all’estero di Franco Fiorito, ma dei gruppi consiliari composti da un solo componente, o dei rimborsi spese oltre ogni ragionavole tetto, o dei mille sprechi non tollerabili né sostenibili in una situazione di crisi epocale come quella che stiamo attraversando.
Il tacere ed il dimettersi immediatamente sarebbe stato un segno vero e sincero sulla volontà di cambiare. Le giustificazioni o le proposte di trasformazione avrebbero avuto senso nella competizione elettorale conseguente. Ma nel nostro Paese le “dimissioni si annunciano, ma tassativamente non si danno”. Certo l’opinione pubblica avrebbe apprezzato più un gesto del genere che non le tante parole da “sceneggiata napoletana” che si pronunciano per alzare cortine fumogene tese soprattutto a salvaguardare posizioni personali. Ma così non si va da nessuna parte. L’antipartitismo, che è cosa diversa dell’antipolitica, dilagherà oltre ogni limite. Se per gli insegnanti può scattare la culpa in vigilando ed in educando, al di là delle norme del codice civile o penale, i politici dovrebbero sempre pensare che moralmente i cittadini, nei casi come quello verificatosi nel Lazio, non li assolvono da questi due peccati mortali: la mancata vigilanza e soprattutto la capacità di non saper educare, perché l’esempio è il miglior metodo pedagogico attivo che ci sia. Sarebbe però ipoocrita pensare che solo i partiti si comportano così.
Come cambiare?
Molto per cambiare potrà farlo la stampa se, come afferma Giulio Anselmi presidente degli editori italiani, il mondo dell’informazione riuscirà ad essere più credibile nei riguardi della gente, soprattutto se saprà non essere più percepita come parte del potere. Cosa difficile se gli editori continueranno ad essere spuri ed incarnare loro stessi il così detto potere, con tutti i conflitti d’interesse che ci sono dietro. Ma per cambiare c’è bisogno soprattutto che l’operato dell’amministrazione pubblica diventi comprensibile al popolo che dovrebbe essere sovrano.
Probabilmente la mossa vincente verso i cittadini che i partiti devono fare – e non solo loro – è porsi la domanda: “che cosa faccio io per essere trasparente?”. E una volta individuato “il cosa fare”, procedere senza tentennamenti o ipocresie. La gente capisce e punisce l’incoerenza e la mala fede.
di Elia Fiorillo