In segno di protesta, premio Nobel assegnato a… una sedia
A Oslo, al momento della consegna dei premi Nobel, del vincitore dell’ambitissimo Nobel per la Pace era presente solo un ritratto, seppure di notevoli dimensioni; il presidente del Comitato del Nobel, Thorbjoern Jagland, ha simbolicamente officiato la consegna del premio, conferendolo a una poltrona vuota, che in tempi migliori avrebbe dovuto essere occupata dal dissidente cinese Liu Xiaobo, che in patria sconta una condanna a 11 anni di carcere. L’evento che ha avuto luogo nella capitale norvegese è stato anche un’ulteriore occasione per chiedere l’immediato rilascio di Xiaobo, che si è da lungo tempo reso protagonista di una lotta nonviolenta per i diritti umani e civili nel proprio Paese; Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, appoggiando fermamente sia la decisione del Comitato sia la richiesta pro liberazione, ha affermato che il dissidente cinese rispecchia valori universali, e che merita il Nobel per la Pace molto più di lui (che fu eletto vincitore lo scorso anno); il Governo cinese presenta invece una reazione molto diversa: dopo aver definito la solenne cerimonia una “farsa politica”, ha censurato e oscurato tutti i siti Internet e i mezzi di comunicazione stranieri, oltre ad aver predisposto posti di blocco e forze di polizia nei luoghi “strategici” per allontanare e scoraggiare i giornalisti; la sorveglianza è stata rafforzata per esempio anche su piazza Tiananmen, che nel 1989 fu teatro del massacro che mise fine al movimento per la democrazia del quale Liu Xiaobo era stato uno dei protagonisti, e intorno al complesso residenziale dove da oltre due mesi è rinchiusa, lontana da ogni contatto con il mondo esterno, Liu Xia, moglie di Liu Xiaobo. È tuttavia emblematico che tutto ciò non abbia impedito a diversi concittadini del neo Premio Nobel di scrivergli messaggi di solidarietà, diffusi sul sito del Comitato per il Nobel, www.nobelprize.com.
È la quinta volta che Nobel per la Pace viene consegnato “in absentia”; ma è il secondo, dopo quello assegnato al giornalista antinazista Carl von Ossetzky nel 1936, a non essere ritirato da nessuno, nemmeno da un rappresentante del premiato: tuttavia è stato letto durante la cerimonia il suo discorso “I Have No Enemies: My Final Statement”, da lui pronunciato di fronte ai giudici del governo cinese prima di essere condannato a undici anni di carcere, in un processo ribattezzato “la morte della giustizia”, in risposta all’accusa di “incitamento alla sovversione del potere dello stato”, ricevuta per essere stato uno dei firmatari (il primo, peraltro) di “Carta ’08”, un documento che proponeva una Cina democratica; e sembra a questo punto doveroso chiudere anche questo articolo con un breve estratto dalle sue parole, perché riecheggino, vive, nonostante siano bloccate in una prigione insieme ai suoi ideali e le sue speranze: “Guardo con ottimismo al futuro della Cin, perché nessuna forza che possa mettere fine alla ricerca umana della libertà; la Cina alla fine sarà una nazione governata dal diritto, dove i diritti umani regneranno sovrani”.
A cura di Germana de Angelis