Intervista: al Presidente del Tribunale di Napoli Nord, “Pierluigi Picardi”
A Cura di Valentina Busiello:
L’esperienza della Commissione Sud. La Giurisdizione come servizio. I controlli di gestione. Il Presidente del Tribunale di Napoli Nord Pierluigi Picardi, ce ne parla?
Quando sono stato chiamato a far parte di questa commissione ho aderito con entusiasmo. Mi gratificava l’idea di poter lavorare con colleghi, dirigenti amministrativi, docenti universitari, avvocati conosciuti non solo per le loro qualità professionali, ma noti per il loro impegno pluriennale nella discussione che ormai da un po’ di tempo anima una parte del mondo giudiziario e precisamente quello che ha individuato nell’organizzazione della giurisdizione, il tema centrale da affrontare per ottenere quel miglioramento del servizio giustizia, che, certo, ci viene chiesto dall’Europa, ma che dovrebbe essere preteso dalla nostra società nel suo insieme.
Mi sembrava oltremodo stimolante che si potesse partire dal Meridione, il luogo della disorganizzazione per eccellenza almeno nella vulgata tradizionale e, sul piano personale, mi sembrava il naturale prosieguo dell’attività che da un paio di anni svolgevo all’interno del MUG, il corso di “Management per Uffici Giudiziari” organizzato dalla Università Federico II; un’iniziativa unica in Italia, promossa dal Dipartimento di Economia e nata con l’obiettivo di contribuire ad approfondire e arricchire le conoscenze tecniche di management necessarie per affrontare, con adeguata responsabilità, efficacia ed efficienza, la sempre più complessa attività di dirigente di un ufficio giudiziario sia esso magistrato o dirigente amministrativo.
In Commissione Sud si è lavorato moltissimo e si è lavorato proprio nel senso che ho indicato.
E’ stata svolta un’intensa attività di acquisizione di dati dalle “banche” a disposizione delle strutture pubbliche e di recupero di informazioni dagli operatori che lavorano “sul campo” in modo da avere una conoscenza la più approfondita, ma anche la più concreta possibile, di quelle che sono la difficoltà che ostacolano la corretta amministrazione della giustizia nel Sud di Italia.
L’analisi degli elementi acquisiti ha confermato in tutti l’esigenza di partire innanzitutto con un grande “revirement” culturale. Non si può più pensare alla giurisdizione come funzione o, almeno, essenzialmente in questi termini.
La “Giustizia” è e deve essere innanzitutto un “servizio” e questo non può essere solo uno slogan né va considerata una deminutio per chi esercita la giurisdizione.
Concepire la giurisdizione come un servizio, significa aderire più compiutamente al dettato costituzionale che vede chiunque occupi una funzione pubblica al “servizio esclusivo della nazione”. Si tratta dunque di una rivoluzione culturale, ma anche democratica.
Ci sono però delle conseguenze.
Parlare di “Servizio Giustizia” significa che ad assumere rilievo essenziale nella valutazione del sistema è la “performance” complessiva di una struttura valutata per come ricade in positivo o in negativo sull’utente.
In altri termini occorre portare l’impegno non su quel settore o quell’altro reparto, ma immaginare e costruire un sistema dove ogni componente produca un apporto diverso, ma ugualmente importante per la realizzazione del risultato.
Occorre ribadire che non si tratta di ridurre, e meno che mai svilire, il ruolo della magistratura e, più precisamente, del magistrato.
Il core business della Giustizia non può che essere la decisione che è del giudice e a lui deve appartenere, ma significa immaginare prima, e realizzare dopo, un sistema che, attraverso il contributo di tantissimi giocatori, consenta alla squadra il raggiungimento del risultato positivo.
In altri termini il punto di partenza deve essere il risultato progettato come “obiettivo sfidante” e la costruzione dell’organizzazione deve essere tarata e finalizzata sulle finalità che si vogliono perseguire, deve essere cioè lo strumento necessario al raggiungimento dello scopo.
Se si condivide questa idea e questa modalità operativa è evidente che il primo punto che deve essere chiaro riguarda l’obiettivo che l’organizzazione giudiziaria vuole raggiungere.
Un obiettivo che non può essere generico ed indeterminato (del tipo “amministrare bene la giustizia”), non può avere la caratteristica dell’incontrollabilità oggettiva (ad esempio “scrivere belle sentenze”), non può essere costruito tenendo solo conto di un segmento delle strutture operative ( ad esempio i giudici piuttosto che il personale amministrativo o le risorse umane senza alcun riferimento a quelle materiali) né può essere tarato sulla sola autovalutazione e senza che si considerino in maniera oggettiva i contesti nei quali si ci si trova ad operare.
Nel caso del “Servizio Giustizia” il PNRR ha individuato come obiettivi la maggiore velocità di definizione dei processi e la riduzione degli arretrati indicando anche la “quantificazione” del miglioramento. Il raggiungimento di questi risultati è però possibile volgendo il proprio sguardo non solo sull’attività del giudice ma anche sulle strutture giudiziarie nel loro complesso occorre cioè riorganizzare il sistema, e non è un caso che si sia parlato di Ufficio Per il Processo e non di Ufficio del Giudice.
L’ascolto che abbiamo fatto in “Commissione Sud” delle realtà territoriali attraverso un questionario al quale, sorprendentemente, hanno risposto tutti i capi degli uffici giudiziari del Meridione, tutti i dirigenti amministrativi (dove c’erano) e la maggioranza dei C.O.A., ci ha permesso di comprendere quali siano gli ostacoli che si frappongono ad una corretta gestione della Giustizia nel Sud d’Italia.
Si è scoperto così che la qualità del “Servizio Giustizia” varia da zona a zona, che la durata della permanenza dei giudici nelle sedi è un elemento determinante sulla produttività dell’ufficio, che vi è necessità di un aggiornamento delle strutture informatiche a disposizione, ma anche di una formazione “vera” del personale amministrativo; si è compreso che in alcuni casi l’intervento non può avvenire solo sulla produttività, ma deve riguardare la domanda giudiziaria, cioè si è evidenziato come ci sia un abnorme conflittualità spesso determinata da inefficienze della P.A. o da normative lacunose ed inadeguate.
E’ stato possibile così proporre soluzioni (amministrative, legislative, logistiche) non sempre complicate, ma idonee, proprio secondo le opinioni di una base molto attenta ed appassionata, a creare le condizioni per affrontare i problemi proprio sotto il profilo del servizio cioè con riguardo al “prodotto” da fornire al cittadino.
Un “prodotto” che non può essere valutato solo in termini numerici, ma che deve essere considerato con riguardo al tempo necessario alla decisione e che comprende anche la qualità del risultato. Non si deve infatti dimenticare che la “tutela dei diritti” è un compito preciso della giurisdizione ed una organizzazione anche perfetta del servizio che dimenticasse questa peculiarità sarebbe forse efficiente, ma di certo non efficace.
L’elaborazione complessiva dei dati ha consentito di comprendere che spesso le valutazioni che i dirigenti facevano dei vari segmenti che compongono l’attività di un servizio e che attraverso la loro interazione determinano il raggiungimento dell’obiettivo che ci si era proposto era basato o su dati imprecisi o su elementi insufficienti. Insomma ci si è resi conto che spessissimo veniva utilizzato solo il vecchio schema “pendenti-sopravvenuti-definiti-pendenti” con qualche variante un po’ più articolata e questo continuava ad essere l’unico meccanismo di controllo dell’attività realizzata dagli uffici e la variabile più gettonata era quella della più o meno alta frequenza di questa verifica.
Occorre andare oltre.Ci siamo tutti trovati d’accordo nel proporre come necessario in tutti gli uffici giudiziari l’attuazione di “controlli di gestione” che permettano di monitorare con continuità le “performance” dell’ufficio.
Come già si è evidenziato, si tratta di costruire (ed oggi è sicuramente possibile) un sistema ben più sofisticato di quello prima citato e che guardi non solo ai risultati finali, ma che consenta di verificare tutte le attività subprocedimentali, siano esse strettamente giudiziarie che amministrative, individuando le interazioni più significative e rilevanti, scoprendo così quali siano le procedure organizzative più produttive, quali siano le prassi virtuose e quelle deleterie, quali siano gli “incagli” e in che misura incidano sulle sub-produttività e sui risultati finali.
In altri termini i “controlli di gestione” devono essere costruiti come monitoraggio ed in questo senso devono garantire l’acquisizione di più dati possibili che poi devono essere analizzati in modo da consentire la comprensione dei punti critici e permettere interventi positivi.
Esperimenti significativi di controllo di gestione sono stati attuati, fra gli altri, per il settore civile ai Tribunale di Catania e Marsala, per il settore Lavoro al Tribunale di Napoli Nord per il settore penale al Tribunale di Nola.
In tutti questi casi si è andati alla ricerca del monitoraggio dei dati che intuitivamente incidevano sul raggiungimento degli obiettivi programmati. E’ stato così possibile analizzare il metodo di lavoro delle strutture più produttive valutando la possibilità di estendere le prassi virtuose, si sono comprese meglio le interazioni fra uffici realizzando interventi “a monte” che hanno prodotto risultati “a valle” sorprendenti.
Gli esempi in termini di risultati sono facilmente verificabili.
Va però evidenziato che le banche dati ministeriali sono assolutamente insufficienti.
Bisogna ricordare che i mezzi informatici approntati dal Ministero sono nati come registri informatici cioè come una trasposizione in chiave informatica di quelli che erano gli antichi registri cartacei. Per estrarre dati utili ad un controllo di gestione più penetrante bisogna andare “di fantasia”. Anche l’applicativo “pacchetto ispettori” è utile per l’acquisizione di dati rilevanti, ma anche in questo caso va detto che si tratta di sfruttare uno strumento nato con obiettivi diversi.
E’ necessario fare passi avanti.
Occorre cominciare a concepire strumenti informatici finalizzati all’estrazione di dati non previsti dai registri, ma giudicati rilevanti ed idonei a caratterizzare la qualità del servizio sotto vari profili ( non solo quantità delle decisioni, ma ad esempio durata delle udienze, numero delle udienze necessarie per la decisione, incidenza concreta dei sub procedimenti, individuazione analitica delle cause di rinvio, controllo della correttezza delle procedure amministrative di supporto ecc.) evitando così di ricorrere ad una faticosa e, inevitabilmente, imprecisa raccolta a mano di dati.
E’ importante altresì cominciare ad accettare l’idea che l’elaborazione di questi dati e la loro incidenza sul risultato del “Servizio” non può non essere realizzata senza l’ausilio di professionalità oggi esistenti, ma non presenti nell’organico del Ministero della Giustizia e che hanno le competenze necessarie in questi campi. Non si tratta di delegare, ma di arricchire l’autonomia di gestione dell’ufficio che, oggi più che mai, non può prescindere da quei risultati che rendono il servizio efficace.
Ecco dunque la sfida da affrontare.
Costruire un servizio non più basato su scelte intuitive e gestioni artigianali, ma realizzato da professionisti in maniera professionale e che sappia così raggiungere quei risultati che la collettività comincia ormai a pretendere.