La bellezza delle cose esiste nella mente di chi le osserva
Così scriveva già nel 1700 il filosofo e storico scozzese David Hume, quasi sicuramente senza sapere che da lì a 300 anni questa sua idea sarebbe stata confermata scientificamente. Oggi, infatti, grazie agli studi di Semir Zeki si scopre che è davvero così.
Zeki, neurobiologo presso l’University College di Londra, si occupa da più di 30 anni dei rapporti esistenti tra arte e cervello. Lo scienziato, per dimostrare la sua tesi, ha radunato 21 volontari, tutti di etnia diversa, a cui ha chiesto di esprimere un parere su varie opere d’arte, pittoriche e musicali, basandosi su una scala che prevedeva: opere belle, indifferenti o brutte.
Al contempo egli ha registrato, attraverso una risonanza magnetica funzionale, i volontari mentre guardavano l’opera. Il risultato è stato che: quando erano di fronte a un’opera giudicata bella, si accendeva sempre la corteccia cerebrale orbito-frontale (oltre alla corteccia visiva o uditiva, a seconda che l’opera fosse pittorica o musicale); se l’opera veniva definita “brutta”, non si rilevava invece un’attività cerebrale più spiccata in nessuna area specifica del cervello.
L’area orbito-frontale si sapeva già essere correlata all’apprezzamento della bellezza, ma è la prima volta che si dimostra che viene attivata in uno stesso soggetto a prescindere dalla tipologia di opera d’arte. Ciò dimostra, di fatto, come il cervello abbia un concetto astratto di bellezza, per cui qualunque cosa, sia essa una opera visiva o uditiva ritenuta bella, attiva l’area orbito-frontale.
A cura di Alessandro Amitrano