La gotica Santa Maria del Pozzo
Somma Vesuviana
E’ un viaggio nella spiritualità. Una testimonianza di grande valore storico-culturale, il complesso monumentale di Santa Maria del Pozzo in terra di Somma Vesuviana. Costruito per volere del Re di Napoli Roberto D’Angiò nel 1333 in onore del matrimonio della nipote Giovanna I con Andrea d’Ungheria. Perché l’appellativo “del pozzo”, in realtà è da riferirsi al primo nucleo della costruzione della chiesa che non è visibile dall’esterno, ma è sepolto da una colata alluvionale di pietre e fango databile intorno al 1488. Al suo interno è presente una cisterna di origine romana, dove si evidenzia un altarino raffigurante una Madonna che allatta un bambino. Altro locale attiguo fu utilizzato come luogo di sepoltura per le famiglie gentilizie e i frati cartesiani. Dopo sette secoli le tombe sono ancora visibili, a testimonianza della grandezza eterna che racchiude questo sito. Come non menzionare poi, il bellissimo chiostro cinquecentesco con le colonne di marmo bianco (quelle di tufo grigio di Nocera furono inglobate nelle pareti che circondano il chiostro, in un passato rifacimento, ma sono visibili ancora oggi per una piccola parte). Numerose furono le trasformazioni subìte nel corso della sua grande storia secolare, le sue linee gotiche furono trasformate in barocche per essere poi demolite nel 1900. Il convento fu ampliato nei secoli successivi divenendo anche centro di cultura, con una biblioteca arricchita da testi antichi. Fu anche un importante centro nello studio delle arti. Con la soppressione degli ordini religiosi il convento divenne struttura comunale, poi lazzaretto durante una epidemia di colera, particolareggiata anche da Matilde Serao nel suo “ventre di Napoli”. Orfanotrofio per i bambini orfani della grande guerra, colonia agricola per soddisfare l’approvvigionamento alimentare dello stesso. Nel 1941 la struttura conventuale ritorna nei domìni dei frati francescani. Oggi il complesso è condotto da quattro frati francescani di origine polacca, che amministrativamente compiono “miracoli”, considerata la grande superfice che il complesso occupa. Una manutenzione sempre crescente e costosa per tamponare quello che si può. La comunità parrocchiale che si stringe intorno ai frati è prodiga di brillanti inziative come quella di carattere culturale con un programma davvero singolare: adotta un affresco. L’iniziativa ha coinvolto nelle operazioni di restauro personale altamente specializzato dei beni culturali. Oggi questo percorso di recupero ha subìto un’interruzione legata alla mancanza di fondi. Una riflessione in merito è d’obbligo: un paese civile non può assistere inerme al disfacimento del suo patrimonio culturale, la politica può e deve intervenire per stroncare questa malattia silente. Non occorre un ministero di “rappresentanza”, non bastano promesse e inutili proclami, la cosiddetta “politica del fare” non può essere solo una atipica espressione letteraria.
A cura di Cutolo Salvatore