La terza età, così come l’infanzia, rappresenta probabilmente uno dei momenti più delicati, e importanti, nella vita di un essere umano. L’allungamento dell’età media di uomini e donne, in Italia come all’estero, si è dimostrato essere uno dei principali fattori di cambiamento sociale negli ultimi venti anni. Grandi e piccoli centri urbani, nel corso del tempo, hanno riorganizzato il territorio proprio per renderlo a misura di anziano. In effetti, molte delle persone che oggi arrivano in piena salute alla soglia della pensione, si mostrano completamente disponibili a svolgere i compiti più disparati per la comunità cui appartengono. A parte l’usuale servizio di babysitting cui ogni nonno, prima o poi, deve dedicarsi, molti anziani prestano attivamente il loro aiuto nelle onlus di volontariato territoriale o come «vigili» fuori le scuole e i giardini cittadini. Queste persone, quindi, partecipando in prima linea alla routine quotidiana del luogo in cui vivono, costituiscono non solo un valido sostegno per i loro concittadini, ma contribuiscono anche a mantenere in forma se stessi. È di vitale importanza, infatti, per un anziano essere parte integrante di un progetto, perseguire uno scopo che lo faccia sentire ancora utile e insostituibile agli occhi di chi lo circonda. Tuttavia, il traguardo della terza età non sempre è sinonimo di serenità: molti uomini e tante donne, dopo il pensionamento, vanno spesso incontro a un’inevitabile condizione di emarginazione. Abbandonati dai figli, anche e soprattutto in seguito alla perdita di autosufficienza, sono sempre più numerosi gli anziani che cadono in un profondo stato di depressione proprio a causa di un perenne senso di solitudine. Private dell’affetto dei loro cari e di un diretto legame con il mondo, queste persone si lasciano letteralmente sopraffare dalla vita, non rendendosi conto invece di essere una fonte inesauribile di esperienze, un’enciclopedia vivente cui attingere e un punto di riferimento su cui poter sempre fare affidamento.

Rosamaria Cinquegrana