LINGUAGGIO:GENESI, EVOLUZIONE E DEFICIT
Per molto tempo si è ritenuto che studiare il linguaggio fosse un metodo per accedere in maniera privilegiata allo studio delle strutture mentali, come reti di meccanismi neurali responsabili del linguaggio. Il linguaggio in realtà non è che una delle capacità cognitive biologicamente determinate proprie della specie umana: insomma una facoltà a cui corrisponde una dotazione biologica. Si è quindi iniziato a parlare di psicolinguistica, vale a dire uno studio sistematico delle relazioni che intercorrono fra l’organizzazione del linguaggio e il sistema neurale che lo supporta. In un testo intitolato “Verbal Behavior” Skinner, propone una prospettiva incentrata sulle strutture di conoscenza e sui processi mentali come chiavi di volta della determinazione del comportamento.Via via via gli psicologi hanno iniziato a comprendere la complessità del linguaggio, arrivando infine alla conclusione che probabilmente i non psicologi danno per scontato che il linguaggio è un comportamento governato da regole, caratterizzato da un enorme flessibilità e libertà di scelta. Lo sviluppo delle conoscenze sulle lingue parlate nel mondo fece si che si riscoprisse che i gruppi umani studiati dagli antropologi possedevano tutti una lingua formata almeno da un lessico e da una grammatica. A tal punto occorrerebbe porsi un interrogativo, ovvero da dove possa provenire il linguaggio e perchè ne siamo dotati. I punti di discussione riguardano la parola “evoluzione” già impostata da Darwin; con essa ci si riferisce ogni qualvolta si accumulano delle mutazioni che forniscono a chi ne è portatore dei vantaggi selettivi portando anche allo sviluppo di nuove specie; un processo attraverso cui gli individui di una specie che hanno dei tratti (geneticamente trasmissibili), che li rendono più capaci di rispondere alle pressioni ambientali, sopravvivono e si riproducono. Nasce cosi un dibattito sull’origine del linguaggio ovvero sul rapporto fra gli esseri umani, la loro dotazione biologica e l’ambiente. La versione contemporanea di tale approccio postula che le nostre abilità e conoscenza vengano acquisite sulla base di strutture innate, quindi siano essenzialmente indipendenti dalleesperienze che gli individui compiono nell’ambiente. Possiamo indi distinguere due diverse posizioni: la prima è rappresentata dai sostenitori di una visione basata sulla selezione naturale, secondo cui il linguaggio umano, al pari di altri sistemi biologici, si è evoluto sulla base della selezione naturale, essendo il prodotto dell’adattamento biologico degli esseri umani alle pressioni ambientali. La seconda posizione è basata da coloro che rifiutano l’inferenza dall’innatismo al darwinismo. Il linguaggio per quest’ultimi si è evoluto come prodotto collaterale dello sviluppo di altre abilità e di fattori biologici, ad esempio, l’aumento delle dimensioni del cervello. Sebbene la selezione naturale sia importante, può non essere l’unica forza che ha operato nel corso dell’evoluzione; le vanno affiancati fattori di tipo genetico, ambientale e anche legati al caso.
All’opposto i neodarwiniani sostengono che la selezione naturale sia l’unica spiegazione scientifica esaustiva della complessità adattiva di certi sistemi biologici. Ma la selezione naturale non può spiegare l’evoluzione del linguaggio nella sua interezza; vi sono aspetti specifici del linguaggio che sono quasi certamente attribuibili a fattori di tipo storici; si tratta di adattamenti volti ad aumentare la possibilità di sopravvivenza e riproduzione della specie. La definizione delle basi da cui è sorto il linguaggio ha dato luogo ad un’accesa discussione sulla sua presunta nascita da una fase gestuale, che avrebbe poi caratteristiche analoghe ai gesti e alle vocalizzazioni convenzionali delle scimmie antropomorfe. E da qui vediamo l’evolversi della comunicazione umana a partire da quella animale. Non si debbono necessariamente trovare i precursori del linguaggio o forme intermedie, potremmo non trovarle mai perchè magari non sono mai esistite, la novità linguistica potrebbe essere arrivata anche attraverso salti. Alcuni risultati sperimentali mostrano che le regioni del cervello umano che mediano il linguaggio sono coinvolte anche nel riconoscimento di gesti ,una funzione che coinvolge aree omologhe del cervello delle scimmie. La comunicazione gestuale fra i primati può aver avuto un ruolo importante nella genesi del linguaggio umano in quanto si sarebbe evoluta a partire da un meccanismo: la capacità di riconoscere azioni. Nelle scimmie, vi è un’area della corteccia che si attiva ogni qualvolta l’animale fa un’azione con la mano o con la bocca. Questi neuroni rispondono selettivamente a un’azione osservata e si può dunque affermare che la loro attività rappresenti l’azione; anche noi riconosciamo le azioni fatte da altri grazie ai pattern di attivazione neurali: ad esempio l’area di Broca, la quale è attiva tanto durante l’esecuzione di movimenti delle mani o delle braccia. Il concetto che questo sistema di osservazione/esecuzione dell’azione sia situato in un’area del cervello delle scimmie omologa all’area di Broca del cervello umano, suggerisce che il parlato umano deriva da abilità legate a comportamenti sequenziali complessi sorti prima dell’emergere del linguaggio.
Sulla base di ipotesi sulla conformazione anatomica della laringe dei neanderthaliani, si credeva che essi non fossero in grado di usare il linguaggio, ma alcune ricerche mostrano che invece essi possedevano una laringe simile alla nostra. Dunque il meccanismo per la produzione dei suoni del linguaggio esisteva già prima del sorgere dell’uomo moderno. È doveroso menzionare a tal punto la struttura del cervello per capirne le peculiarità e ciò che lo rende un organo sofisticato. Il cervello negli esseri umani contiene all’incirca 12 miliardi di neuroni; il numero delle interconnessioni fra essi supera il numero degli atomi che costituiscono l’universo. Dieci miliardi di neuroni sono concentrati nella corteccia, cioè in quello strato di materia grigia che si trova nella parte esterna del cervello; è soprattutto lì che hanno, per cosi dire, sede le funzioni superiori che interessano la scienza cognitiva. Il cervello però non è un semplice aggregato di cellule nervose, ma una struttura complessa ed organizzata che comprende aree che hanno un proprio modo di funzionare e di “comunicare” tra loro. Il cervello è nello stesso tempo parte del mondo e specchio del mondo. Esso ha anche una definizione storico-temporale, essendo il risultato di un lungo processo di apprendimento e di evoluzione biologica che passa attraverso un canale evolutivo in cui il cervello ha continuato ad incorporare informazioni; ovvero strutture congenite; un canale individuale che parte dalla cellula-uovo fecondata attraverso un processo che si completa nel corso della vita. Il cervello si sviluppa essenzialmente nel grembo materno; l’enorme aumento delle sue dimensioni durante la vita embrionale intrauterina è dovuto all’aumento del numero di neuroni, delle loro connessioni e delle altre strutture, esso cresce poco durante la vita postnatale aumentando molto, invece la quantità di informazioni che lo plasmano e modificano. Nella corteccia celebrale il numero delle connessioni fra cellule nervose aumenta notevolmente dopo la nascita, per poi diminuire e stabilizzarsi verso i 10-11 anni e restare costante per il resto della vita. La corteccia cerebrale è rappresentabile come un grande insieme di cellule piramidali e connesse tra loro. Essa forma un sistema associativo che di volta in volta crea input di varia natura (visivi,acustici, e cosi via) che arrivano in determinate profondità della corteccia e producono successivamente degli output da parte di cellule specializzate. Oggi esistono metodologie che permettono di vedere il funzionamento del cervello anche in assenza di deficit o lesioni. L’ipotesi di localizzare funzioni cerebrali, cioè di determinare quelle aree specifiche del cervello controllino comportamenti ed abilità specifiche ha appassionato i fisiologi e gli anatomisti. Gall localizza la presenza di più di 35 facoltà intellettuali ed emotive in aree distinte della corteccia identificate sulla base di solchi e delle sporgenze presenti sulla superficie cranica. Verso la fine del secolo scorso, gli studi sull’epilessia (Jackson) e sull’afasia (Freud, Broca e Wernicke) provarono che attività linguistiche diverse erano controllate da aree specifiche della corteccia.
Il chirurgo francese Paul Broca dimostrò che lesioni nella parte infero-posteriore del lobo frontale sinistro producevano profondi deficit nell’abilità del parlare. Qualche anno dopo Broca estese le sue ipotesi sulla localizzazione dei centri del linguaggio riferendo che danni ad aree specifiche dell’emisfero sinistro portavano i pazienti all’afasia mentre ciò non avveniva in casi di deterioramento di aree corrispondenti dell’emisfero destro; in questi casi le capacità linguistiche rimanevano inalterate. Nel 1874 Carl Wernicke descriveva casi di pazienti con un danno alla parte posteriore della corteccia temporale sinistra che avevano un diverso disturbo del linguaggio; erano incapaci di comprendere il linguaggio e tendevano a parlare con parole e combinazioni di parole anomale. Broca arrivò alla conclusione che l’uomo parla con l’emisfero sinistro. Le scoperte del secolo scorso portarono all’idea di un’asimmetria funzionale dei due emisferi del cervello umano per il linguaggio. Alcune osservazioni anatomo-cliniche portarono all’elaborazione di precise mappe corticali in cui le funzioni sensomotorie (motricità , senso somatico, percezione uditiva e visiva) trovavano una precisa localizzazione anatomica. La revisione della teoria classica ha portato alle conseguenti conclusioni: i due emisferi cerebrali sono asimmetrici da un punto di vista strutturale; anche se i due emisferi sono differenti sul piano funzionale, per le funzioni superiori tale diversità non produce una dominanza dell’uno sull’altro. I due emisferi sono attualmente considerati del tutto equivalenti. Secondo il modello più diffuso, nell’emisfero sinistro sono concentrate le capacità verbali e prussiche. Esso è dunque specialmente deputato ai processi di elaborazione simbolica e analitica, quindi all’elaborazione del linguaggio. L’emisfero destro è coinvolto maggiormente in compiti di elaborazione spaziale e percettiva, la percezione di una melodia, di configurazioni non verbali. Anche l’emisfero destro, in realtà, collabora al funzionamento del linguaggio, sia durante lo sviluppo sia nella maturità; esso è chiamato in causa quando si parla di linguaggio figurato per quanto attiene a descrizioni, aspetti narrativi, rappresentazioni simboliche e cosi via. Molti risultati convergono ormai nel mostrare come le regioni chiamate in causa dalle operazioni linguistiche vadano ben oltre le sole aree di Broca e Wernicke estendendosi in tutti i lobi della corteccia, includendo l’area temporale, parietale, prefrontale e frontale dell’emisfero sinistro. Il linguaggio non è indi solo una funzione corticale, la sua integrità di funzionamento può dipendere anche da una complessa rete nervosa sottocorticale. Sebbene esistano aree specifiche del cervello che sovrintendono a operazioni particolari, sistemi complessi come il linguaggio sono regolati da un sistema neurale funzionale che integra l’attività di strutture distribuite nel cervello. Lieberman postula l’esistenza di un Functional Language System (FLS), includente strutture sottocorticali come i gangli della base, che regola la messa in sequenza di varie attività apparentemente non connesse tra loro come muovere le dita, parlare, comprendere frasi sintatticamente differenti, risolvere problemi cognitivi e cosi via. Grazie a regioni cerebrali specializzate dette aree del linguaggio, gli esseri umani sono dotati di eccezionali capacità di comunicazione. A quanto pare quello che vogliamo dire viene organizzato dalla regione dell’emisfero cerebrale sinistro noto come area di Wernicke. Questa è in comunicazione con l’area di Broca, che applica le regole grammaticali. Gli impulsi arrivano poi ad alcune vicine aree motorie che controllano i muscoli facciali e aiutano a formare dovutamente le parole. Queste aree sono connesse con il sistema visivo del cervello: è così che possiamo leggere e con il sistema uditivo udire, così che possiamo immagazzinare pensieri significativi. Un’altra area controversa è quella della lateralizzazione; il problema è definire se alla nascita esistano o meno aree già specializzate, oppure se iniziali asimmetrie tra aree cerebrali si specializzano sino ad arrivare allo stato adulto stabile. Le aree coinvolte dal linguaggio sono anatomicamente e funzionalmente dalla nascita. L’emisfero sinistro è prioritariamente specializzato per il linguaggio sin dalla nascita soprattutto in relazione ad alcune funzioni linguistiche (quelle fonologiche e fonetiche); solo lesioni gravi che compromettano contemporaneamente vaste regioni anteriori e posteriori del cervello possono fare sì che l’emisfero destro svolga funzioni vicarie. Il periodo sensibile corrisponde a quello stadio evolutivo durante il quale il sistema nervoso centrale matura e assume una natura definitiva, in quanto le proprietà anatomiche e funzionali dei neuroni sono particolarmente sensibili a modificazioni basate sull’esperienza.
Lenneberg propone l’esistenza di un periodo critico nel quale la presenza o assenza di stimolazioni ambientali ha un effetto particolarmente rilevante, se non cruciale,per lo sviluppo neurale. Soltanto entro questo periodo l’organismo è in grado di sviluppare una capacità linguistica. La collocazione temporale del periodo critico dipende e varia in funzione della maturazione corticale delle diverse aree. È però doveroso ricordare che è l’esperienza ad avere un ruolo selettivo nel determinare quale sinapsi (cioè le connessioni fra neuroni) si conserveranno e si rafforzeranno e quali, invece, si atrofizzeranno. C’è chi sostiene anche fenomeni di crescita di connessioni neurali indotte da stimolazioni ambientali. Se un bambino non riceve input linguistici adeguati durante il periodo critico, allora non dovrebbe essere in grado di apprendere il linguaggio. Argomenti a favore o contro l’ipotesi del periodo critico sono stati ricercati anche nella letteratura concernente casi di bambini abbandonati nell’infanzia o deprivati nel linguaggio. A tal proposito bambini derivanti da tali situazioni o pazienti colpiti da ictus dell’emisfero sinistro, locus cerebrale che include i centri corticali del linguaggio,
spesso mostrano quella patologia che va sotto il nome di Afasia, ovvero un deficit della produzione e della comunicazione delle parole. Doveroso dire che le lesioni afasiche non alterano in alcun modo l’intelligenza del paziente e per tal motivo non si può definire quest’ultimo uno stolto o un demente.
I soggetti afasici possono rivolgersi all’associazione ALIAS, nata in Italia intorno al 1996, che in seguito a continue ricerche mirate alla patologia sta avendo notevoli risultati in termini di guarigioni dei pazienti portatori; accedendo a particolari strutture riabilitative che approcciano a terapie di tipo linguistico-cognitive e pragmatico-comunicative, particolarmente utili per il trattamento di afasia conseguente ad ictus o terapie o con riabilitazione comunicativa per mezzo di immagini e figure. Purtroppo i tempi non sono brevi. Occorre pazienza, ma con una terapia mirata e soprattutto continuativa non sono da escludersi risultati straordinari.
a cura di Alessia Viviano