L’UMBERTO “SBROCCATO” CHE NESSUNO GIUSTIFICA PIU’
E ci risiamo. L’Umberto ha sbroccato “more solito”. Se scagliato contro il nemico Monti, presidente del Consiglio tecnico, promettendogli una brutta fine: “Rischia la vita, il Nord lo farà fuori”. Ha così risposto il Senatùr a chi gli chiedeva se l’attuale inquilino di Palazzo Chigi sarebbe sopravvissuto dopo il 2013, anno fatidico per il rinnovo del Parlamento. La “ministra” dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, una dichiarazione del genere non la poteva sopportare. Se ne esce con una risposta ovvia, che pero’ ovvia fino a poco tempo fa non lo era: “chi svolge funzioni pubbliche dovrebbe fare un uso saggio del linguaggio e non istigare a comportamenti eversivi”. Eppure Bossi il linguaggio scurrile, istigatore, violento, scissionista, insopportabile, e via dicendo, l’ha sempre avuto. Erano pero’ altri tempi e purtroppo proprio pochi avevano il coraggio politico di prendere le distanze da un soggetto che poteva essere, comunque, un possibile alleato, sia a destra che a sinistra. Non conveniva alzare il tiro e nemmeno la voce. Meglio buttarla in folclore. Costruire l’immagine di un leader buontempone, pazzerello e birichino che sotto sotto non crede a quello che dice. Eppure l’ex studente in medicina, ex comunista, ex Manifesto, ex ARCI, ex ambientalista, ex…, di cose toste contro l’Italia ne ha dette di tutti i colori. Sulla bandiera italiana ad esempio: “Quando vedo il tricolore m’incazzo. Il tricolore lo uso per pulirmi il…”. Siamo nel 1997. Nel 2008, parlando al congresso della Liga veneta, citando l’inno di Mameli, dove si dice “ Che’ schiava di Roma”, punta il dito medio esprimendo il suo dissenso alla schiavitù della Padania. Non contento, prendendo a spunto la bocciatura del figlio Renzo agli esami di maturità’, per il secondo anno consecutivo, ipotizza una riforma della scuola, da fare dopo quella federalista, dove non ci siano insegnanti meridionali, colpevoli di martoriare gli studenti settentrionali. E a Venezia il 13 settembre 2009, durante la festa dei popoli padani, annuncia che “il federalismo non basta più, la Padania un giorno sarà uno stato libero, indipendente e sovrano…” E ciò sarebbe avvenuto o “con le buone o con le meno buone”, perché i padani non hanno paura del carcere per ottenere la loro libertà. Insomma, il Senatùr ha sempre “dato i numeri” ed è stato sopportato per “la ragion politica”, meglio per quel dannosissimo “opportunismo politico” che, tra l’altro, è il responsabile della poca credibilità dei partiti nei confronti della pubblica opinione. Cosa c’è di nuovo all’orizzonte che, al di là di Anna Maria Cancellieri, ha fatto prendere le distanze un po’ a tutti i partiti? Certo, una fase storica è finita. La centralità della Lega per qualsiasi assetto di governo, di sinistra o destra, pur ipotizzata nel corso degli anni, oggi viene a mancare. Ma non per le “uscite” del capo padano che, per la verità, è stato sempre lapalissiano e coerente nel suo irridere all’Italia unita. La Lega, nella rivoluzione che il governo Monti ha portato alla politica ed ai partiti, non è più essenziale. Non fa più la differenza negli assetti di governo. Il potere non ce l’ha più come una volta. Anche la sua base, una volta compatta e osannante nei riguardi di Bossi, oggi è divisa, non accetta più sogni irrealizzabili che hanno solo l’unico obiettivo di allontanare i problemi di tutti i giorni che stanno diventando insopportabili. Le vecchie parole d’ordine non funzionano più. Tutto qui. Ed allora le posizioni infelici, a dir poco, del suo capo vengono prese per quel che sono: ingiurie, farneticazioni, volgarità, assurdità. Fino a poco tempo fa nessuno o quasi di quelli che contano tirava in campo la malattia di Bossi per sostenere la sua non capacità di guida. Eppure, fino ad ieri è stato un ministro di peso, e che peso. La vicenda Lega deve far riflettere un po’ tutta la politica. Specialmente se veramente si vuole cambiar pagina e non giocare al rinnovamento con la testa ben ancorata a che niente muti. O meglio, che cambi tutto, ma non il proprio particolare. L’opportunismo in politica non può arrivare al punto di far finta di non vedere aberrazioni che negano i principi fondanti la nostra Repubblica.
di Elia Fiorillo