Magre da morire

imagesCA8AGOI2Una vita spenta in un letto d’ospedale, una malattia che ha consumato il suo corpo e la sua anima, che ha trascinato intorno a sé tanto dolore anche dopo il suo ultimo respiro.
Questa è la storia di Isabelle Caro conosciuta in tutto il mondo per No-Anorexica, la campagna pubblicitaria che l’ha vista testimonial nel 2007 per No-lita. La modella, allora 25enne fece fotografare senza veli il suo corpo gracile e scheletrico dal famoso fotografo Oliviero Toscani in tutta la sua fragilità e devastazione per mostrare al mondo cos’è l’anoressia.
La campagna pubblicitaria che ha suscitato lo sconcerto nell’opinione pubblica del mondo è stata un importante gesto di denuncia verso i modelli eccessivi di magrezza e forme di bellezza distorta proposte dalla moda e dai media.
Da quel momento ovunque si parlava di anoressia, come se la malattia non fosse esistita prima di allora, ma il coraggio di Isabelle è servito per aprire gli occhi su quello che stava diventando un fenomeni molto diffuso nelle giovani ragazze e per spronare molte ragazze affette da questo male a chiedere aiuto e a decidere di combattere per la vita.
Isabelle aveva voglia di vivere ma purtroppo non ce l’ha fatta. Aveva 28 anni e pesava solo 31 chili.
IimagesCAIP5M6Dl 17 novembre 2010 è morta nell’ospedale Xavier Bichat a causa, secondo le dichiarazioni ufficiali, di una generica polmonite, contestata dal padre della giovane che ha accusato l’ospedale di negligenza nei confronti della patologia della figlia che richiedeva cure diverse.
A distanza di soli tre mesi la mamma, travolta dai sensi di colpa e incapace di sopravvivere a quel dolore così grande si è tolta la vita.
La donna, Marie Caro, non ce l’ha fatta a convivere con le colpe che si addossava per aver permesso il ricovero della figlia e soprattutto per il fatto di essere stata la responsabile inconsapevole della malattia della figlia.
Come ha raccontato Isabelle nel suo libro autobiografico “La ragazza che non voleva crescere”, lei e la mamma vivevano un rapporto simbiotico, in cui la mamma, depressa e estremamente possessiva e iperprotettiva non permetteva alla figlia di avere contatti con l’esterno poiché credeva che l’aria potesse in qualche modo “farla crescere”. Isabelle così crebbe in una casa di campagna lontana da tutto e da tutti, poi ancora bambina, all’età di 12 anni, decise di smettere di nutrirsi perché credeva che in quel modo potesse controllare la sua crescita, e di conseguenza poter restare agli occhi della mamma la bambina di sempre.
Così la repressione di Isabelle l’ha spinta ad ammalarsi senza rendersene conto. Di lei ci resta un indelebile ricordo e quella voglia di combattere e di distruggere quel male che purtroppo alla fine ha vinto su di lei.

A cura di Aline Improta