NAPOLITANO E IL CAMBIO DEI GIOCATORI IN CAMPO
Le parole sono centodieci, titolo compreso. Il loro significato però è inequivocabile. “Spetta ai presidenti delle Camere e al presidente del Consiglio valutare le modalità con le quali investire il Parlamento delle novità intervenute nella maggioranza che sostiene il Governo”. E’ il Capo dello Stato che parla. Dà notizia della firma dei decreti di nomina dei nove sottosegretari di Stato voluti dal presidente Berlusconi, ma chiede un passaggio parlamentare proprio perché: ”sono entrati a far parte del Governo esponenti di gruppi parlamentari diversi rispetto alle componenti della coalizione che si è presentata alle elezioni politiche”.
Si possono ben capire i mal di pancia all’interno della maggioranza per un atto politico definito inusuale. I dietrologi non si sono lasciati scappare l’occasione per tessere i loro ragionamenti che svelano le vere (sic) intenzioni di Giorgio Napolitano. C’è chi dice che dopo aver bacchettato la sinistra per l’incapacità d’essere alternativa all’attuale Governo, per par condicio, ha sentito il bisogno di pareggiare i conti. E giù il siluro a Berlusconi. Altri, invece, vedono nella presa di posizione del presidente della Repubblica un modo di mettere le mani avanti nell’ipotesi che l’attuale maggioranza non passi l’esame delle elezioni amministrative: cambio di maggioranza, più bagno elettorale, uguale possibili elezioni anticipate. C’è chi poi si pone il problema del perché l’inquilino del Quirinale non sia intervenuto quando fece giurare Sergio Romano, attuale ministro delle politiche Agricole, Alimentari e Forestali. Un po’ tutti nella maggioranza parlano di numeri e fanno la differenza con la quantità dei sottosegretari dell’Amministrazione Prodi, centodieci, e con quelli del Governo Berlusconi, sessanta, come se la questione in campo fosse dell’entità dei sottosegretari nominati.
Forse la lettura più semplice che si può dare alla presa di posizione di Napolitano è nella sua funzione di arbitro. Dal suo punto di vista i giocatori in campo sono cambiati e lui lo fa rilevare. “Il presidente del Consiglio deve comunicare alle Camere ogni mutamento intervenuto nella sua maggioranza”. Lo impone, al di là di tutto, il comma 1 dell’art. 5 della legge 400 del 1988.
Dall’inizio del suo settennato il ruolo che si è imposto Napolitano è stato quello di scrupoloso garante della Costituzione, super partes. E lo ha fatto utilizzando lo strumento della moral suasion, ma quando questa non ha funzionato non sono mancate le prese di posizioni perentorie. Alla base dei suoi interventi però c’è sempre stato equilibrio e sano realismo. Nel caso in questione non si può negare che un cambio è avvenuto nella squadra presentatasi agli elettori e che ebbe da questi il consenso. Il bipolarismo introdotto dalla seconda Repubblica doveva appunto evitare trasmigrazioni in corso d’opera, non decise dagli elettori. A tale proposito vanno ricordate le critiche feroci rivolte ai Governi della prima Repubblica che si costruivano in Parlamento senza tener conto della volontà del corpo elettorale. Famosi gli Esecutivi balneari, in particolare quello di Giovanni Leone del 1963, che servivano come parentesi di riflessione nei momenti politici difficili. Insomma, a far “passà a nuttata”, per usare una frase celebre di Eduardo De Filippo.
Sull’opportunità dell’intervento del Capo dello Stato in chiusura della campagna elettorale per le amministrative c’è da dire che l’azione non è partita da lui ma, appunto, dalla nomina dei nove sottosegretari e dalla promessa che altri dieci arriveranno. Se la richiesta d’approfondimento il presidente della Repubblica l’avesse fatta in occasione dell’investitura del ministro Romano, dopo il confronto con Berlusconi sull’opportunità di designare come ministro un inquisito per reati gravi, sarebbe stato un vero attacco alla maggioranza. Il dibattito parlamentare avrebbe assunto toni pericolosi e fuorvianti. Eppoi, formalmente, ci si trovava di fronte ad un unico caso.
Dopo le critiche di getto a Napolitano da parte di Umberto Bossi è subentra la riflessione interessata condita da elogi sperticati. Una questione di riconoscenza perché “il vecchio”, come Bossi chiama Napolitano, ha firmato i decreti sul federalismo regionale e provinciale o perché potrebbe essere utile per il prossimo futuro? Entrambe le cose. Tredici milioni di elettori si recheranno alle urne la prossima settimana in piazze elettorali significative tra cui Napoli e Milano. Il recepimento dei decreti sul federalismo da parte del capo dello Stato in campagna elettorale ha significato per la Lega un bel successo di cui vantarsi. I decreti, infatti, potevano essere recepiti dal presidente della Repubblica anche dopo le elezioni. Soprattutto però c’è il futuro. Tremonti, non si sa mai, potrebbe trovarsi nella condizione di poter essere designato dal “vecchio” come presidente del Consiglio e, allora, meglio andarci cauti con critiche e battute sull’uomo che risiede al Quirinale. Dopo le elezioni sapremo che deciderà di fare il Governo. Andare in Parlamento e comunicare semplicemente il cambio dei giocatori in campo oppure proporre un dibattito con relativo voto di fiducia. Tutto dipenderà da come andranno le cose… elettorali. 13 milioni di elettori
di Elia Fiorillo