Patti di convivenza: per le coppie che non vogliono o non possono sposarsi
Il dibattito sui «patti di convivenza» non ha avuto fino ad oggi in Italia adeguati sbocchi legislativi a causa della mancanza di univocità di intenti, determinata soprattutto dalla coesistenza nel nostro Paese di tradizioni, culture e ideologie differenti. La proposta del notariato vuole prospettare soluzioni adeguate a nuove esigenze della società. La pluralità di forme relazionali non elimina, né mai potrebbe, la famiglia come istituto unico e insostituibile a livello sociale, fondata sull’unione affettiva ed economica tra un uomo e una donna, in grado di assolvere alle funzioni cui essa da sempre è finalizzata: l’amore, la riproduzione della specie, l’educazione della prole, la reciproca assistenza economica e morale.
Sensibilità e culture diverse
In un Paese a democrazia liberale avanzata, rispettoso di tutte le sensibilità e le culture e al passo con i tempi, si deve riconoscere al cittadino il diritto di scegliere, nell’organizzare la propria esistenza, tra: a) il matrimonio (civile e/o religioso) con la sua disciplina pubblicistica inderogabile; b) un patto di convivenza liberamente disciplinato e sottoscritto, con la previsione di diritti e doveri, alcuni dei quali non derogabili (verificare quali diritti); c) la semplice convivenza «di fatto», dalla quale nessun diritto od obbligazione reciproca può derivare, non avendolo i conviventi voluto, come dimostra la mancata formale sottoscrizione del patto.
Nel rispetto della Costituzione
La proposta di legge si muove nell’ambito dell’articolo 2 della Costituzione, istituendo il «patto di convivenza» quale soluzione privatistica a cui chiunque può liberamente ricorrere per pianificare consapevolmente la propria sfera personale di interessi.
Volontà delle parti
Questa proposta riconosce la libertà di autodeterminazione della volontà delle parti attraverso un contratto, tanto è vero che non riconosce ad una situazione di fatto la possibilità di attribuire automaticamente diritti e doveri tra le parti. Nel contratto le parti possono disciplinare: le modalità di contribuzione alla necessità della vita in comune; la messa in comunione ordinaria dei beni acquistati a titolo oneroso anche da uno solo dei conviventi; i diritti e obblighi di natura patrimoniale a favore dei contraenti allo scioglimento del patto di convivenza; la possibilità di convenire attraverso lo stesso patto di superare il divieto di patti successori, disponendo a favore del convivente nei limiti della quota di patrimonio disponibile. Inoltre possono esser previsti diritti e doveri di assistenza, informazione e misure di carattere sanitario e penitenziario. L’atto va stipulato in forma pubblica a pena di nullità davanti al notaio, che provvederà alla trascrizione nel Registro unico nazionale dei patti di convivenza istituito a cura del Consiglio Nazionale del Notariato.
Scenario europeo
La Svezia è stato il primo Paese ad approvare una legislazione sulle convivenze di fatto nel 1987, seguito da Danimarca Finlandia e Norvegia. Per quanto riguarda i Paesi a noi più vicini, nel 1999 la Francia ha introdotto il «patto civile di solidarietà» (Pacs), che ha ispirato alcuni dei progetti di legge presentati al nostro Parlamento. La Germania ha introdotto nel 2001 l’istituto della «convivenza registrata», nello stesso anno anche il Portogallo ha approvato la legge sulle unioni di fatto. Nel 2004 Austria e Regno Unito si sono adeguate. Nel 2005 la Spagna ha riconosciuto i matrimoni tra omosessuali. Allo stato, i Paesi membri dell’Unione europea che ad oggi non hanno previsto e disciplinato con una specifica normativa forme di convivenza diverse dal matrimonio sono, oltre all’Italia, la Grecia, l’Irlanda, Malta, Cipro, la Lettonia, l’Estonia, la Lituania, la Slovacchia e la Polonia.
di redazione