Per motivi di costi la tua posizione non e’ piu’ prevista
Nel nostro Paese solo il 46% delle donne ha un impiego. Di queste, il 27% lascia il posto dopo la prima gravidanza. Un altro 15% non rientra dopo il secondo figlio. La ricerca condotta appena un mese fa,da Menageritalia,delinea una condizione preoccupante , oltre che uno svantaggio netto con il resto dell’Europa.
L’allarme avverte e si avverte oltremodo al Sud. Difatti, in 16 anni, dal 1993 al 2009, a fronte di 1.792.000 occupate in più appena 218 mila ,ossia il 12,1%, hanno interessato le regioni meridionali, poco più di una su dieci. Risulta così,che in media trovano impiego ogni anno,13.600 lavoratrici al Sud e nelle Isole,differentemente dai quasi 100 mila in tutto il resto della Pensiola.
Tra le cause precipue,l’Istat rileva che questo fenomeno si esaurisce primariamente nel meridione,per un’incidenza considerevole di normative sociali che definiscono ruoli tradizionali all’interno della famiglia,ancorati all’immagine quasi “malavogliesca”dell’uomo ,responsabile del sostentamento economico,e la donna dedita al servizio domestico,alla cura della casa e dei figli.
Se a tutto questo ,si aggiunge, la difficoltà a far conciliare il lavoro familiare con quello professionale,invalidato dalla mancata applicazione dalle norme in materia di maternità, il problema risulta enormemente difficile da risolvere. Nonostante la legislazione italiana sia considerata una tra le più qualificate rispetto alla tutela della maternità ,le norme non trovano facile riscontro pratico,laddove talvolta,si insinua un atteggiamento di accettazione e soggiacimento alle vessazioni e discriminazioni da parte del datore di lavoro. Sempre meno donne ne parlano,sempre meno donne denunciano.
Stefania Boleso però,ha deciso di non incassare il suo licenziamento in silenzio,rivendicando il posto di lavoro che appena 9 mesi prima svolgeva con estrema diligenza ed enorme impegno : “mia figlia doveva nascere il 25 dicembre e io il 18 ero a una riunione”.
Stefania 39 anni, marketing manager di Red Bull Italia,vanta una laurea,ottenuta con il massimo dei voti alla Bocconi di Milano,ed un percorso professionale da manuale : un anno e mezzo nella multinazionale americana Sarah Lee,per poi approdare alla Red Bull quando il marchio in Italia era ancora sconosciuto e la filiale tutta da costruire. Con l’amaro in bocca, e la rabbia di chi non riesce a rassegnarsi ,racconta così il 30 Settembre scorso,giorno in cui è stata licenziata in tronco: “Per motivi di costi la tua posizione non è più prevista”. Non dimenticherò mai quell’attimo .Erano le dieci del mattino .Per qualche istante il tempo si è fermato ,e come una ragazzina innamorata,lasciata dal primo amore, senza una spiegazione,è sembrato che il mondo mi crollasse addosso. L’azienda non mi ha nemmeno messa alla prova. Come si sono sbagliati –aggiunge- io ci sarei riuscita a mettere insieme la famiglia con il lavoro. Avrei dato il sangue pur di farcela”.
Non è stato affatto semplice per la neomamma passare dalla gestione di un contratto di ben 18 milioni di euro, ad impiegata d’ufficio,sola tra scartoffie ed una distanza di 5 piani dall’azienda : “Un giorno mi è venuto un attacco di panico, ho creduto di morire. Al pronto soccorso mi hanno detto che stavo rischiando l’esaurimento. Alla fine ho mollato. Ho scambiato i miei diritti con una buonuscita. Non avevo alternativa: dopo aver perso cinque chili e la serenità, non mi sono sentita di imporre altre tensioni alla mia famiglia”.
La sensazione di paura di una donna che lavora e si appresta a diventare mamma è comunemente condivisa,perlopiù in un Paese il cui il tasso di occupazione è decisamente carente, il salario è basso ed il divario fra donne e uomini in termini di opportunità e qualità di impiego è ancora significativo.
Per aiutare le aziende a gestire al meglio la maternità delle dipendenti,facilitando la gestione della gravidanza ed il rientro al lavoro delle neomamme,l’iniziativa “Un fiocco in azienda”mette a disposizione un vero e proprio programma “per sostenere le donne ed aiutarle a non cadere nella depressione post-partum e valorizzare la genitorialità,affiancando per coloro che lo desiderano un equipe di psicologhe specializzate”.
Il programma prende avvio appena la dipendente annuncia la sua maternità e termina al rientro al lavoro. Inoltre,tale programma non prevede particolari costi aziendali : su richiesta della dipendente, l’azienda può anticipare con almeno un 20% dello stipendio il contributo Inps del 30% previsto per il periodo facoltativo,scalando tale anticipo gradualmente dallo stipendio mensile.
A cura di Flavia Sorrentino.