Severino Mingroni: quando scrivere significa continuare a parlare I disagi di chi vive la malattia con dignità e chiede una vita indipendente
Quando qualche anno fa ho conosciuto la storia di Severino Mingroni, mi hanno colpito le sue parole: «ho vissuto, ma sto vivendo intensamente solo dal 22 ottobre 1995, nonostante io sia un locked-in da allora, mentre la maggioranza degli umani sta semplicemente vegetando e non se ne accorge». Parole forti, dure, che impongono riflessione e ascolto.
Severino vive in un piccolo paese d’Abruzzo, è un dirigente radicale dell’Associazione Luca Coscioni ed è autore della rubrica “Satellite Hotbird” su Agenda Coscioni. Conduceva una vita modesta, semplice, finché in una domenica di ottobre del 1995, in casa dei suoi genitori, fu colpito da una trombosi all’arteria basilare destra, che l’ha paralizzato, togliendogli la voce, ma non la voglia di scrivere e comunicare. Da quel 22 ottobre, però, è cominciato il suo calvario: la lenta discesa negli inferi di una sanità pubblica malridotta e l’agonia delle lunghe attese burocratiche. Giorni difficili, alti e bassi, ma anche tanta solidarietà.
Nonostante la Locked-In Syndrome, Severino non ha perso la voglia di vivere. Per entrare in contatto col mondo usa un computer azionato dalla testa, che gli consente di comunicare le sue idee e la sua forte determinazione, battendosi per una vita indipendente e per la libertà di ricerca. Certo, i momenti duri non mancano, a volte è difficile scacciare latristezza, ma lui è un Chisciotte dei tempi moderni, la cui involontaria bellezza sta nella forza e nella tenacia che lo accompagnano da quel 22 ottobre. Per lui non esistono mulini a vento tanto grandi da scoraggiare la sua voglia di lottare per vedersi riconosciuti quei diritti fondamentali che gli garantirebbero una vita più dignitosa.
Quello che Severino e tanti altri, che vivono nelle stesse condizioni, chiedono è semplice, quanto, purtroppo, difficile da ottenere. In tempi di crisi, tagli e pareggio dei bilanci, troppi sono gli alibi e le dimenticanze per non rispettare il diritto, costituzionalmente garantito, a un’assistenza sanitaria dovuta e necessaria. Allora, non bisogna scoraggiarsi, ma rimboccarsi le maniche e lottare, perché, se c’è chi come Severino ha la fortuna di poter contare su una madre straordinaria e su una sorella coraggiosa, c’è anche chi è solo e non ha tante finanze da investire per la propria assistenza sanitaria. Non si possono, dunque, lasciare le famiglie sole a combattere ogni giorno contro difficoltà immani per assolvere quei compiti che, invece, dovrebbero esser garantiti dallo Stato. La battaglia deve diventare comune e necessaria, coinvolgendo disabili e normodotati, perché la democrazia, l’uguaglianza dei cittadini e la civiltà di un Paese si dimostrano garantendo rispetto e dignità della vita, anche nella malattia.
Per una vita indipendente e autonoma, Severino crede davvero bastino pochi accorgimenti: c’è, innanzitutto, bisogno di garantire l’assistenza domiciliare, occorre, cioè, che il disabile grave, una volta dimesso dal centro di recupero, tornato a casa, si veda corrisposta un’adeguata somma mensile dalla Regione di appartenenza, affinché possa assumere regolarmente una persona esperta capace di dargli l’assistenza necessaria e quotidiana. Inoltre per comunicare con gli altri, non dovrebbe essere più obbligato a pagarsi personalmente computer e collegamento ad Internet, soprattutto, perché non tutti possono permetterseli, ma dovrebbe avere la possibilità di chiedere alla Regione il rimborso per queste spese. Altra tortura fisica e psicologica cui Severino non vorrebbe più sottoporsi è quella che gli si presenta a ogni elezione politica, quando, pur essendo un disabile grave, è considerato dall’attuale legislazione trasportabile al seggio, per cui, per esprimere il suo diritto-dovere di buon cittadino deve recarsi, con grandi difficoltà e aiuti, al seggio della propria città.
Piccole accortezze per modificare leggi poco attente e sensibili e grandi aiuti regionali renderebbero la vita dei nostri disabili più dignitosa e la malattia più accettabile.
Oggi Severino non riesce a immaginare la sua vita senza quel computer che gli consente di essere il più informato possibile sugli sviluppi in materia di cellule staminali, scambiare e-mail con diversi ricercatori e altri disabili, curare la sua rubrica e far conoscere al mondo la sua esperienza e il suo coraggio. Severino scrive per parlarci, noi ascoltiamolo: è un esempio di vita e speranza per tutti, soprattutto, normodotati dormienti.
Giuseppina Amalia Spampanato