Tumore della prostata, scoperti due nuovi marcatori
Il tumore della prostata si sviluppa quando le cellule della ghiandola prostatica mutano ed iniziano a moltiplicarsi senza essere più sottoposte ad alcun meccanismo di controllo. La particolarità di questo tumore risiede nel fatto che le cellule “impazzite” possono facilmente metastatizzare, ovvero spostarsi in altri organi, in particolar modo nelle ossa e nei linfonodi.
Questo tumore si sviluppa più frequentemente negli ultra cinquantenni e comporta dolore alla minzione, disfunzioni erettili, ed altri problemi.
Fino a poco tempo fa la diagnosi di tumore alla prostata veniva effettuata con un esame digito-rettale e con l’utilizzo di uno specifico marcatore ematico: l’enzima PSA. In caso di riscontri positivi di entrambi, o anche per livelli troppo elevati di PSA, si effettuava generalmente una biopsia di conferma.
Un recente studio ha dimostrato, però, che il dosaggio del PSA presenta un forte limite: molti pazienti, infatti, eseguono biopsie prostatiche “inutili” a causa della incapacità del PSA di suggerire, in maniera certa, la presenza di un tumore. Questo marcatore può risultare elevato anche in caso di infiammazioni prostatiche o di ipertrofia della prostata; ed effettuare una indagine diagnostica invadente, come una biopsia, sarebbe altamente sconsigliabile.
Negli ultimi mesi sono stati individuati due importanti marcatori, il PHI ed il PCA3, che possono affiancare il PSA.
Il primo deriva da una elaborazione matematica di tre dati relativi al PSA: PSA totale, PSA libero e pro-PSA. Nei pazienti con PSA totale compreso fra 2.5 e 10 ng/mL, i valori dell’indice PHI sono risultati associati alla presenza di una malattia clinicamente significativa.
Il PCA3 invece è risultato molto utile in quei pazienti che eseguono le biopsie prostatiche per un dubbio tumorale, nel caso in cui queste risultassero negative. In questi casi infatti bisogna decidere se risulta opportuno effettuare una seconda biopsia. È stato confermato che il PCA3 ha una espressione da 60 a 100 volte superiore nelle cellule tumorali rispetto a quelle benigne per cui un valore elevato nelle urine, suggerendo la presenza di un tumore prostatico, rende auspicabile effettuare una seconda biopsia.
A cura di Alessandro Amitrano