UN GOVERNO TECNICO PER RILANCIARE LA CRESCITA E… LA POLITICA
Nel momento in cui Mario Monti entra al Quirinale per uscirne come presidente del Consiglio incaricato, l’ex inquilino di palazzo Chigi, il Cavaliere Silvio Berlusconi, fa circolare un video-messaggio in cui, tra l’altro, afferma di essersi “dimesso per senso di responsabilità” ed è pronto a “favorire un governo tecnico”. Anche nel momento probabilmente più duro del suo arco politico vitale, il tempismo non gli è mancato. Sa bene che la nuova partita per lui ed il suo Pdl si è appena aperta. La posta in gioco è alta: 1) difesa di tutto ciò che ha fatto in politica fino alle dimissioni; 2) costruzione di un futuro per il suo Pdl (che forse cambierà nome) senza di lui come conducator; 3) cancellazione, in tutti i modi possibili, dell’immagine dell’uscita da palazzo Chigi tra lazzi, frizzi e canti di liberazione. Insomma, lo stato d’animo non è dei migliori, ma la voglia di rivincita è al massimo.
Chissà se avrà pensato, nel momento più buio della sua esistenza politica, all’inizio dell’avventura. A quando mamma Rosa lo sconsigliò in tutti i modi di scendere in politica, perché quello non era il suo mestiere. Ma poi dopo una notte insonne (come lui stesso raccontò in un summit con le parte sociali alla presidenza del Consiglio, difronte agli stupefatti segretari generali di Cgil Cisl Uil – Cofferati, Pezzotta, Angeletti – e all’allora presidente di Confindustria, D’Amato), fu proprio la mamma a dirgli che aveva riflettuto e che la scelta era giusta: “solo tu puoi salvare l’Italia”.
Berlusconi irruppe sulla scena politica quando la vecchia classe veniva spazzata via dal pool di Mani pulite. Era la discontinuità con il passato. Era una faccia nuova con un linguaggio completamente agli antipodi da quello usato dai politici dell’epoca. Alla gente piaceva per il suo eloquio comprensibile, per il suo accattivante sorriso, per il contagioso ottimismo, per l’ipotesi che avrebbe gestito il pachiderma Stato come se fosse un’azienda privata, senza la burocrazia paralizzante. Il successo gli venne anche dagli errori dei suoi avversari. In particolare da Achille Occhetto che con la “sua gioiosa macchina da guerra”, denominata Pds, non riuscì a far tornare da dove era venuto il Cavaliere, anzi gli regalò migliaia di voti. Attribuire la vincita elettorale dell’uomo di Arcore alla concentrazione televisiva di cui poteva disporre, che pur ebbe il suo peso, è voler trovare un alibi alla buona. La verità è che si era sottovalutato il fenomeno popolare; la stanchezza di certi riti, il bisogno di comprensione dei programmi politici. E Silvio, con la sua grande esperienza televisiva, riuscì a semplificare, a far capire, a far sognare gli italiani con le sue trovate immaginifiche.
Lo stesso uomo che ipotizzò e provò ad attuare il cambiamento della politica oggi, per una sorta di legge del contrappasso, paga proprio sui fronti che dovevano essere a lui più congeniali: il liberismo, l’immagine, la semplificazione della politica e dello Stato che non ci sono stati.
Nell’attuale situazione il governo guidato da Mario Monti potrà avere due effetti determinanti e probabilmente benefici. Uno sulla razionalizzazione delle finanze e sull’immagine internazionale del nostro Paese, che è diventato il capro espiatorio ed il bersaglio preferito di governi europei che di incognite e buchi neri nel loro interno ne hanno da vendere. L’altra conseguenza è di natura più squisitamente politica. Può sembrare un paradosso, un esecutivo di tecnici che può incredibilmente sbloccare e rilanciare la politica. Ebbene si. Se si andasse oggi alle urne il centro sarebbe imbarazzatissimo a scegliere Di Pietro, Bersani e Vendola, oppure il Pdl di Angelino Alfano. Il governo Monti, invece, potrebbe essere la parentesi di riflessione utile a tutti per scomporre o ricomporre, per inventarsi altre aggregazioni al di là della contingenza. Il Pdl ha bisogno di rifondarsi e sia Berlusconi che Angelino Alfano lo sanno bene. La coalizione di ferro con Bossi è destinata a rompersi. Il trio Casini, Rutelli, Fini (Bocchino) dovranno scegliere con chi stare una volta per tutte. Rimanere nel limbo, appunto, del terzo polo – quando i poli sono due – può diventare esiziale. C’è poi Bersani, Vendola e Di Pietro. Ma come farà il romagnolo Pier Luigi a far convivere la pasionaria cattolica Rosi Bindi ed i suoi con Vendola e Di Pietro? Mysterium fidei.
di Elia Fiorillo