Una donna dalla risposta pronta
di Francesca Paglionico
E’ difficile pensare che una donna nel Trecento possa aver affermato l’uguaglianza tra i sessi; in un periodo storico in cui la donna occupava una posizione subalterna, del tutto sottoposta ai vincoli sociali e relegata ai margini della società: eppure è quello che succede in una delle novelle del Decameron di Boccaccio, più precisamente nella novella settima della VI giornata. Questa giornata vede come tema principe i motti di spirito, grazie ai quali molti riuscirono a districarsi dai guai, e la novella che più mette in scena la prontezza, la temerarietà, la maestria nell’arte della retorica e l’affermazione dei pari diritti tra uomo e donna è senza dubbio quella di Madonna Filippa. Questa novella ci conduce nella città di Prato, dove un tempo vigeva una legge molto severa in base alla quale, qualunque donna fosse colta dal marito in adulterio, oppure fosse dedita alla prostituzione, doveva essere arsa viva. Al tempo, in quel di Prato, viveva una nobildonna di nome Filippa, donna dalla sublime bellezza e dalle maniere oltremodo raffinate, moglie di un tale Rinaldo de’ Pugliesi, che in cuor suo nutriva un sotterraneo amore per un certo Lazzarino de’ Guazzagliotri. Essendo da lui ricambiata piacevolmente, i due più volte insieme si sollazzarono, senza alcun timore di essere scoperti. Un giorno, però, suo marito li colse in flagrante: in tale situazione, lo pervase d’istinto il desiderio di ucciderli entrambi; ma egli si frenò d’improvviso, si trattenne dal commettere quel duplice omicidio, e, memore di quella crudele legge vigente a Prato, pensò di strutturare in maniera diversa la sua spietata vendetta. Egli fece prontamente condurre Madonna Filippa in tribunale, volendo che fosse attuato, secondo legge, lo statuto pratese. La donna, sprezzante dinanzi ai molteplici consigli che le venivano dati, come quello di fuggire dalla città, decise con estrema audacia e con animo deciso di portarsi l’indomani in tribunale e di provvedere da sé alla propria difesa, in quanto aveva più a cuore confessare tutta la verità e morire con coraggio piuttosto che fuggire e vivere in esilio e nella vergogna. Giunta dunque, in tribunale, venne accusata di aver commesso adulterio nei confronti del marito Rinaldo, lì presente durante l’udienza. La donna, con voce pacata e con animo dignitoso ammise di essersi trastullata più e più volte col suo amante Lazzarino, e si giustificò affermando che le leggi sono valide solo se uguali per tutti e se trovano il consenso della popolazione a cui sono rivolte. Questa legge non ottemperava tali requisiti, in quanto colpiva solo le donne e non gli uomini (e le donne potevano avere rapporti sessuali in maggior numero rispetto agli uomini); d’altronde, la popolazione femminile non era stata mai consultata riguardo a questo provvedimento. Il podestà, aggiunse Filippa, avrebbe potuto condannarla a morte, ma prima avrebbe almeno dovuto chiedere al marito Rinaldo se lei gli avesse mai negato i propri favori sessuali in passato, e se avesse soddisfatto tutti i desideri dell’uomo: questi rispose subito che la moglie lo aveva sempre compiaciuto, quindi Filippa dichiarò che sarebbe stato un peccato non concedere le proprie grazie anche ad un altro nobile uomo innamorato di lei, visto che la donna era in grado di soddisfare anche lui (“Quello che avanza lo devo io gettare ai cani?non è meglio donarne un po’ ad un altro uomo piuttosto che lasciarlo guastare?”). Il tribunale era affollato da una moltitudine di Pratesi, i quali approvavano a gran voce la risposta pronta ed efficace di Filippa: la folla chiese che la legge venisse modificata, in modo che fosse condannata solo la moglie che tradiva il marito per denaro. Filippa venne dunque assolta dal podestà e potè tornare a casa libera e felice, mentre il marito Rinaldo uscì dal tribunale scornato e sconfitto nei suoi propositi.
Il tema cardine della novella è dunque l’uguaglianza di donne e uomini riguardo la morale sessuale, poiché è lecito anche alle donne ricercare il proprio piacere e se commettono adulterio ciò non è più grave di quando è compiuto dai loro mariti. Madonna Filippa è dunque decisa nell’affermare di avere gli stessi diritti sessuali del marito; ella si presenta come una donna molto diversa dalle tradizionali donne del Trecento, che venivano definite dal Boccaccio “piagnucolone” o “donnette”. Filippa, ferma nelle sue idee, nelle sue profonde convinzioni, non si limita a una battuta o a un motto di spirito ma pronuncia una sorta di arringa di autodifesa, strutturando un discorso ragionato, dalla logica rigorosa, e grazie al suo carattere impetuoso riesce a divincolarsi dalle accuse.