Utah, condannato a morte sceglie fucilazione. Dopo 14 anni si rivede il plotone d’esecuzione.
Era dal 1996 che negli Stati Uniti non veniva eseguita una condanna a morte tramite la fucilazione, la terza in totale dal 1976, ed è stato proprio lo stesso condannato a morte a scegliere di finire così i propri giorni, preferendo il plotone di esecuzione all’iniezione letale.
Stiamo parlando di Ronnie Lee Gardner, 49 anni, condannato a morte nel 1985 per aver ucciso un avvocato mentre tentava di fuggire dall’aula del tribunale in cui veniva processato per un altro omicidio commesso un anno prima. Lo Utah, Stato americano dove Gardner era detenuto, ha abolito le condanne a morte tramite fucilazione nel 2004, ma i condannati prima di tale data hanno mantenuto il “diritto” di scegliere in che modo affrontare la morte.
Negli ultimi giorni, erano stati numerosi i tentativi da parte dei legali di Gardner di far convertire la condanna a morte in ergastolo, ma tutti sono stati inesorabilmente respinti. A partire da Gary Herbert, governatore dello Utah, che aveva fermamente respinto ogni contrattazione dichiarando che l’imputato “ha avuto piena e giusta opportunità per illustrare il suo caso di fronte alla legge”.
Poi era stata la volta della Corte d’appello Federale e della Corte Suprema a rispedire al mittente ogni richiesta di mediazione, per finire con il Board of Pardons and Parole dello Utah, che ha rigettato l’istanza presentata da Gardner in cui chiedeva clemenza per il suo caso. A nulla sono valse, quindi, le attenuanti derivanti da una vita difficile da parte di Gardner, che a 6 anni ha iniziato a sniffare colla acida, a 10 ha iniziato con l’eroina ed il mestiere di “palo” per il patrigno rapinatore, poi le violenze sessuali subite da adolescente in un istituto per ragazzi in attesa di adozione.
Ciò che ne consegue è la cronaca di una morte già annunciata, attesa da un quarto di secolo e con il “privilegio” di sceglierla da sé. Niente sedia elettrica o iniezione letale, quindi, ma fucilazione.
L’ultimo pasto due giorni prima dell’esecuzione, bistecca al sangue con insalata, gelato alla vaniglia. Poi il trasferimento nella cella di attesa e gli ultimi rapporti umani: l’avvocato, i due figli, un prete.
Quindi, il cappuccio cala sulla testa ed il trasferimento nella stanza dell’esecuzione dove gli viene nuovamente sfilato il cappuccio, perché Gardner ha il diritto di vedere ogni dettaglio della sua morte: la sedia dipinta di nero con i sette lacci che gli immobilizzano il corpo, dal collo, alle spalle, fino ai polsi ed alle caviglie, il simbolo del bersaglio appiccicato sul petto. Intorno a lui solo quattro mura di mattoni, ed a sette metri di distanza le cinque feritoie da dove spunteranno le canne di fucile di cinque tiratori scelti, tutti volontari. I fucili saranno tutti caricati con veri proiettili, tranne uno che avrà una cartuccia a salve, perché ogni cecchino deve avere dentro di sé la consapevolezza della probabilità di non avere ucciso.
Il regolamento recita che il fuoco va aperto non appena il processato pronuncia le sue ultime parole.
Quelle di Gardner sono state: “Sono stato dall’altra parte della canna, so cosa succede. Quando hai sparato non te ne liberi più” poi nella stanza rimbombano gli spari, il fumo si propaga rapidamente.
La Corte Suprema ha reintrodotto la pena di morte nel 1976, lo Utah è stato il primo Stato ad applicarla nel modo più brutale, spettacolare, con una retorica da film western. Occhio per occhio dente per dente.
Se è vero che l’America di oggi ha indici di criminalità ai minimi storici, al tempo stesso è altrettanto vero il netto calo dei consenso verso la pena di morte. Dal New Mexico al New Jersey all’Illinois si moltiplicano gli Stati che aderiscono alla moratoria, per il semplice principio che applicando la pena di morte si agisce allo stesso modo del condannato.
A cura di Mario Sabljakovic